La spia che venne dalla porta accanto di Corrado Augias
La spia che venne dalla porta accanto Trieste, all'Università si discute la sorte di 007 & C. tra letteratura e attualità La spia che venne dalla porta accanto // lettore italiano vuole storie ambientate a Miami, non a Bologna J TRD2STE ITA di Sindona e morte di Calvi, «incidente» di Berlinguer a Sofia e pistolettate di Agca al Papa, riletture dell'assassinio di Kennedy e interessi della Bnl ad Atlanta, misteri di via Montenevoso e segreti di Gladio. La Spy Story oggi è sempre più cronaca, feuilleton da prima pagina. Le spie vengono dalla porta accanto. La tenacia dei cronisti, la fragilità dei segreti, il crollo delle frontiere, lo squarcio su verità e miti della guerra fredda lasciano spazio al vecchio Fleming, a Le Carré e Forsythe, ai «giorni del Condor» di Grady? La risposta è sì. Ieri a Trieste se ne sono occupati, in un convegno organizzato dall'Università, esperti convoca- ti da Elvio Guagnini, docente al dipartimento di linguistica e discipline dello spettacolo. C'erano Giuseppe Petronio, Corrado Augias, Irene Bignardi, Claude Ambroise (che ha parlato di Sciascia) e Loriano Macchiavelli. Una verità e due polemiche. La verità: la cronaca trascina commercialmente la finzione. Le polemiche: l'Italia legge lo spionaggio straniero per colpa degli scrittori, che vogliono fare gli intellettuali e non sanno narrare (firmato Augias); l'Italia legge lo spionaggio straniero perché insegue miti e stereotipi come Miami e Mosca, e disprezza gli scenari di casa propria (firmato Macchiavelli). Ma Augias e Macchiavelli, giallisti di fama, sono d'accordo su un punto: la Spy Story nasce dalla cronaca, dal quotidiano, seppur con una lettura che abbandona il rigore e vola altrove, quasi in una strada parallela. Fiction e realtà, e forse la seconda condiziona la prima. Augias sorride dei lussuosi alberghi e le favolose donne (poi patrimonio di Dallas e Dinasty) che segnavano la vita di James Bond: «Le Carré ha raccontato anche la noia della spia, la verità dunque. Piazzare un registratore a un telefono è un lavoraccio da ladruncoli, ma è vita reale». E' certo che la Spy Story non solo sopravvive, ina ha salute sempre migliore. Augias: «Negli Usa quasi un quarto delle nuove uscite in libreria sono storie di spionaggio. E' appurato che i periodi di pace accentuano l'interesse per il settore». Cronaca e fantasia, dunque, non si scontrano ma s'incontrano. Eppure l'Italia non riesce a imporsi in libreria: Le Carré si compra a scatola chiusa, l'italiano, salvo rare eccezioni, a scatola chiusa si scarta. Chi non funziona? L'autore o lo scenario? Augias è drastico: «L'Italia è uno dei Paesi più romanzeschi? potrebbe attingere a un materiale ineguagliabile, ma non lo sa fare. Questo è un Paese dove gli scrittori, che il cielo li fulmini!, si occupano poco della realtà. Rincorrono la frase che farà storia. Non sono narratori. Per fortuna ci pensa un poco la tv». Ma autori votati a «narrare» ne esistono. Macchiavelli: «Sono diffidenti pubblico ed editori verso certi "generi". Il lettore perché manca una tradizione, l'editore perché conosce quella sfiducia». Ed ecco la sua esperienza: giallista tradotto in tutto il mondo, decide di uscire, con la Spy Story, dai confini che l'hanno reso famoso: «La prima obiezione dell'editore fu: e come lo vendiamo? Non contestava la qualità, ma la commerciabilità». Uscirono con successo le storie firmate Jules Quicher: Strage, Funerale dopo Ustica. «Bastò un nome straniero. Per gli italiani il mito non abita a Bologna, ma a Miami o New York, a Mosca o a Los Angeles, mentre per i giapponesi la Bologna del commissario Sarti è mito italiano». Macchiavelli guarda indietro e al futuro: «Sono fasi storiche. Il giallo italiano aveva una sua tra¬ dizione, ma Marlowe era un'altra cosa, in luoghi mitici. Poi venne Scerbanenco, col suo pubblico che lo seguì dalla narrativa rosa. Ora è così per la Spy Story. E' un caso Piero Soria, che con Colpo di coda si è imposto». Ma domani cercheranno uno pseudonimo gli italiani cugini di Stephen King e Clive Barker, per la fantasy della Murgia o del Delta del Po. In un monologo Francesco Guccini parlava di Kerouac, di un viaggio sulla «vecchia Pontiac del padre di Johnny, fino a Tucson...». E traduceva: «Abbiamo preso la 600 del babbo di Gianni e siamo andati da Modena a Piumazzo». Ammetteva: «Non è la stessa cosa». Marco Neil-otti Corrado Augias e (a destra) Loriano Machiavelli
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