Mancato soccorso giallo della firma
Mancato soccorso, giallo della firma De Lorenzo difende il medico dell'Umberto I: «Il paziente aveva chiesto di essere dimesso» Mancato soccorso, giallo della firma Ma un infermiere ribatte: il documento è contraffatto II magistrato ordina il sequestro di tutte le carte ROMA. Un'auto della polizia sgomma nel piazzale dell'Umberto I. Tre uomini in borghese salgono di corsa la grande scala del policlinico universitario. Hanno l'ordine di sequestrare la documentazione sanitaria di Giovanni Silvestri, il tossicodipendente spirato senza soccorso su una barella a pochi metri dal reparto accettazione. Nella luce abbagliante del mezzogiorno romano la palazzina della direzione sanitaria perde i contorni drammatici dell'altra mattina. L'uomo delle pulizie lustra il padiglione d'ingresso a cavallo della grande macchina verde a spazzole rotanti, infermieri e parenti se ne stanno al sole. L'aspetto è quello pigro e disteso della routine romana ma il clima è avvelenato dalla contrapposizione ormai consumata tra sanitari e personale paramedico. Una storia vecchia di anni, di un confronto sordo e sleale che riesplode sul corpo del tossicodipendente morto senza soccorso. A «Fort Apache», come medici ed infermieri chiamano il pronto soccorso del più grande ospedale della capitale italiana, bocche cucite con i cronisti, soltanto qualche ammissione. Agli agenti della polizia di Stato, il magistrato inquirente ha affidato un compito preciso. La dottoressa Diana De Martino chiede il registro sul quale Gianni Silvestri ha apposto la firma per essere dimesso. Il nodo dell'inchiesta è tutto qui. C'è un infermiere che afferma: «Quella firma è falsa, fino alle 9,30, un'ora dopo il decesso, quello scarabocchio non esisteva, è comparso più tardi, come per incanto». Contro di lui ci sono le dichiarazioni del primario dell'Accettazione che conferma: «Silvestri ha firmato, ci sono i testimoni». E questo della firma non è un elemento marginale. Lo stesso ministro della Sanità, Francesco De Lorenzo, è sceso in campo nella difesa della classe medica che nel suo ultimo errore appare provata. { «A me risulta - afferma il ministro - che la vicenda del Foliclinico si è svolta in modo diverso da come è stata riportata». Il ministro ha parlato con il direttore sanitario e continua: «Questo paziente è stato dimesso perché aveva chiesto, volontariamente, di lasciare l'ospedale. Aveva firmato una dichiarazione nella quale diceva di voler tornare a casa». Il ministro della Sanità invita ad individuare la catena «anche umana» che ha portato Giovanni Silvestri alla morte. E' la catena d'incomprensione e di tensione che nel policlinico romano si respira da anni e contrappone ai sanitari il personale paramedico. Così Francesco Coppini, 45 anni, barba rossiccia e occhi infossati viene scredidato, come «uno dell'autonomia». Ma stavolta Coppini, che per primo ha denunciato alla polizia il decesso, appare tranquillo e contro il medico Antonello Rosa, è determinato. Non ritratta. Quella firma, fino alle nove e mezzo del mattino non c'era e poi «sarà il magistrato a ordinarne il confronto a un perito». Il termine di riferimento acquisito dalla magistratura viene dal registro in possesso della polizia sul quale Silvestri apponeva la sua firma quando era agli arresti domiciliari. Giovanni Silvestri era stato arrestato per spaccio e aveva l'obbligo di frequentare un centro di disintossicazione, il Villa Marami. C'era stato un periodo buono, poi la ricaduta, fino all'ultima overdose dell'altra notte, in via Alessandria, dove l'hanno soccorso i carabinieri. Era sull'asfalto, stava male. I carabinieri chiamano un'ambulanza. Silverstri è all'Umberto I alle tre e mezzo del mattino. Muore cinque ore più tardi. Spetta alla magistratura ricostruire quelle cinque ore di agonia accolta, una volta ancora, come una storia di tossici, sempre uguale, sempre fastidiosa, anche in un ospedale. Ma su questa morte ordinaria l'accusatore più deciso è ancora Coppini. Anche ieri appariva deciso nel racconto: «Non sono stato io il primo a bussare. Quando sono arrivato in ospedale erano le 8,30 e quel ragazzo era già morto. A bussare ai dottor Rosa per chiedere il soccorso è stato un mio collega. Ha bussato insieme ad un barelliere della Croce Rossa. Si chiama Antonio Giammei». Ma perché invece di bussare i due infermieri non hanno portato la barella all'interno del reparto? Coppini spiega: «Sapevano che se l'avessero fatto, per loro sarebbe stata la fine. I medici ci hanno sempre abituato ad un rapporto di subordinazione e ci sono vietate certe iniziative». Contro Coppini, il direttore sanitario, Carlo Mastran tuono. Deve correre dal rettore della Sapienza ma dichiara rapido: «E un discorso che non regge,' questo rapporto di subordina- \ zione non esiste. Se c'era qual- ' cuno che stava morendo chiunque aveva il dovere, il dovere morale, di prendere quella barella e di spingerla all'interno dell'accettazione». Ed anche su questo punto indaga il magistrato. Sarà un consulente della procura della Repubblica di Roma a stabilire le cause che hanno determinato la morte di Giovanni Silvestri. La dottoressa De Martino, essenzialmente, chiede al perito di conoscere se l'intervento tempestivo dei sanitari di guardia avrebbe potuto salvare il giovane. A rispondere dovrà essere il dottor Carlo Colesanti. Interverrà, per i medici Antonello Rosa ed Igino Genuini, un consulente di parte. Il carico dei reati ipotizzato nell'avviso di garanzia è pesante. Per i due medici di guardia, gli avvisi di garanzia contestano con il concorso in omicidio colposo, dovuto a negligenza o imperìzia, la morte, come conseguenza di altro delitto ed infine il rifiuto di soccorso. Francesco Santini Accuse ai barellieri: «Se era grave dovevano portarlo dal dottore» Ma gli inservienti replicano «Sarebbe stata un'insubordinazione» Due firme di Giovanni Silvestri: quella in ospedale (sopra) e per gli arresti domiciliari (sotto) Il ministro della Sanità De Lorenzo e, nella foto grande, Francesco Coppini l'infermiere che ha denunciato i medici
Luoghi citati: Roma
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