«L'Olivetti ci ha delusi» di Francesco Bullo
«L'Olivetti ci ha delusi» «L'Olivetti ci ha delusi» Gli operai: adesso è schierata nel coro della Con/industria IVREA DAL NOSTRO INVIATO «Caro Alfredo» diceva l'Ingegnere nel novembre dell'86 rivolgendosi a Reichlin, l'esperto economico del pei. «Caro Carlo» gli rispondeva Reichlin. E con affettuosa stima lo definiva «più colto, più intelligente e più sottile di Romiti». Fu una svolta: i comunisti si proponevano come interlocutori dell'impresa. A cinque anni di distanza la scena è la stessa: il salone de «La Serra». Uguale il tema: conferenza nazionale sulla Olivetti. Ma sono cambiati copione e protagonisti, e sotto i ponti di acqua ne è passata. Il pei non esiste più, c'è il pds; in sala al posto di De Benedetti c'è un rappresentante del vertice aziendale. Resta identica la platea, invecchiata, con qualche poltrona vuota e molte occupate da prepensionati. Quel «caro Carlo... caro Alfredo...» che effetto fece? Ti infastidì? «Sì, non ero abituato a quel linguaggio. A Crema da sempre i lavoratori erano da una parte, i padroni dall'altra». Fiorangelo Salada, 48 anni, per 25 nel consi- glio di fabbrica, non ha esitazioni. Al punto di strappare la tessera comunista? «Non ci ho mai pensato. Al di là dei "cari" guardavo alla sostanza. A Crema già da allora vedevamo che la macchina per scrivere sarebbe stata soppiantata dal computer e volevamo produzioni più qualificate: le cose che sosteneva Reichlin. Ma l'Olivetti ha voluto quello stabilimento poco produttivo. Un esempio: solo 20 mila stampanti ad aghi, le altre 120 mila le fece fare dall'indotto». Il dialogo dell'86 a Marco Liberatori, ex consigliere provinciale del pei, prepensionato, proveniente dalla Fiom, non fece «né caldo né freddo». «C'era altro a cui pensare: una politica industriale, cioè a come lo Stato può creare condizioni favorevoli per lo sviluppo di un settore-chiave, quello dell'informatica. De Gallile raggiunse l'obiettivo, i tedeschi si mossero. Noi siamo ancora qui a parlarne». Sognava il patto fra produttori? «Come pei, mi sembrava importante sollecitare l'azienda verso certi obiettivi, portarla a un dialogo conflittuale-costruttivo; non sostituirci al sindacato ma sollecitarlo. Il pei che dialoga con un capitano d'impresa era un bel segnale». Anche Fiorenzo Grijuela (52 anni) è prepensionato. Quel 29 novembre '86 si irritò? «Macché, i due erano amici, si davano del tu, si conoscevano bene. L'altro giorno a Profondo Nord mi sono trovato di fronte al dottor Arona e al dpttor Mosca». .Duepezzi grossi dèll'Olivetti, 'è allora?'' «Li ho salutati anch'io con un "ciao Giorgio", "ciao Daniele", ci conosciamo da molto tempo. E in Olivetti una volta c'era più attenzione ai rapporti sociali e politici (Grijuela è stato capogruppo a Ivrea del pei, ndr) anche quando poteva non esserci accordo». E il «patto»? «Potrebbe essere ancora oggi necessario per portare il Paese fuori dalla crisi. Un patto tra produttori non solo nell'industria, ma con riflessi anche nel terziario e più in generale nella società». Vede l'Ingegnere oggi come un portabandiera degli imprenditori «buoni»? «No, è nel coro della Confindustria. Ma altri hanno capito che non si può vincere ricattando o bastonando i lavoratori. Ci vuole coinvolgimento e partecipazione in una società che cambia. De Benedetti e il gruppo curigente a questi problemi oggi non offre risposte. Il gruppo cu Ivrea ha perso molto delle sue tradizioni. L'Ohvetti non è più la punta di diamante che era stata in passato quando seppe "rompere" con posizioni conservatrici». Francesco Bullo
Persone citate: Arona, De Benedetti, Fiorenzo Grijuela, Grijuela, Reichlin
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