Il dottore non ha tempo, muore sulla barella di Francesco Santini

Il dottore non ha tempo, muore sulla barella Dramma al Policlinico Umberto I di Roma, due medici sotto accusa per omicidio colposo Il dottore non ha tempo, muore sulla barella Negata l'assistenza a un drogato ROMA. Una coperta sporca sul corpo magro e un pezzo di plastica per nascondere il volto che, nella morte, appare rasserenato. «E' un drogato, roba di tutti i giorni, il solito tossico di Tor Bellamonaca», dice l'inserviente in camice nero. Ma c'è una folla che si fa più fitta ed urla contro un medico: «Vieni fuori bastardo, vieni fuori assassino perché l'hai ammazzato». « Il padiglione centrale del policlinico universitario di Roma diventa il palcoscenico di un livore inquietante che sale contro la classe medica. La folla incalza. Grida rabbiosa. Lanciano insulti. Tre infermieri s'affrettano. Avvolgono nella plastica nera il volto dell'uomo, allargano un paravento attorno alla barella che è accanto al termosifone. «Copriamo il cadavere, allontaniamo tutti, chiamiamo i sorveglianti». Il corpo è nascosto ma la folla incalza. Ancora urli e insulti. Il dottor Antonello Rosa, 35 anni, si nasconde perché Giovanni Silvestri, 34 anni, tossicodipendente, è spirato alle 8,30 del mattino a sette metri dall'astanteria senza essere soccorso. Giovanni Silvestri era cianotico, rantolava, stava spirando. A chiamare Antonello Rosa, medico di guardia, all'accettazione uomini, sono stati in molti, ma lui ha tagliato corto: «Non posso andare a raccogliere tutta l'immondizia che sta sulle barelle e sulle panchine di Roma». Giovanni Silvestri, padre di una bambina di 8 anni, di nome Sara, lottava da anni contro l'eroina. Frequentava il centro di Villa Maraini ma l'altra notte s'è lasciato andare: ancora una dose. A trovarlo, in via Alessandria, m pieno centro, tra Piazza Fiume e Porta Pia, i carabinieri. Un'ambulanza e lo spediscono all'Umberto I. Sono appena le quattro del mattino. Un paio di fiale contro l'overdose e il medico di guardia accetta di dimetterlo. Ma nessuno sa dire che cosa sia accaduto fino alle otto, quando Silvestri sta morendo proprio nel grande spazio che s'apre sull'astanteria. Trascorrono le ore. L'Umberto I di Roma si chiude nel silenzio. Telefoni sganciati, personale muto. Cronisti e telecamere. Comincia l'assedio. Spintonate dei vigilanti in divisa blu, flash e telecamere frenate sui cacelli. L'anticamera del direttore sanitario adesso è presa d'assalto. Cronisti e telecamere superano il blocco. Il vicedirettore Iarossi sembra non comprendere il dramma che s'è consumato nell'androne enorme del policlinico universitario della capitale: «Sono qui da due giorni, già mi hanno chiuso il Sant'Anna, adesso ci mancava il morto drogato», commenta con distacco. Poi al cronista di «Canale 5» dice con macabra ilarità: «Piuttosto, perché non ci mandate l'infermiera di striscia la notizia?». Iarossi vorrebbe Angela Cavagna. Il direttore sanitario non resiste all'assalto. Con candore, Carlo Mastrantuono assicura: «Ho aperto un'inchiesta amministrativa: io sono super partes». Gli domandano: «Ma di che è morto Giovanni Silvestri?». Lui si giustifica: «La deontologia professionale mi impedisce, come direttore sanitario, di rivelare una diagnosi che va tenuta segreta». Ma al piano terreno ecco un medico compiacente. Apre il libro dei ricoveri. E' il dottor Bettazzoni che ha la responsabilità del padiglione. Spiega: «Vedete il libro è firmato dal paziente Silvestri. Era arrivato qui alle tre e mezzo di notte. Due fiale di Narcan e si era ripreso. E' stato visitato dall'altro medico di guardia, il dottor Igino Germini. «E' una cosa di ogni notte. Arrivano i drogati, gli diamo il Maloxone , si risvegliano, il respiro torna regolare, ma entrano subito in crisi d'astinenza e se ne vahnò7Germini lo voleva ricoverare. Lui ha cominciato a gridare. Ha firmato per essere dimesso». E' il racconto di «ogni notte» del dottor Giunta. Una notte qualsiasi. Ma c'è un morto e Giunta giustifica: «E' capitato ad Antonello Rosa. Poteva accadere a chiunque di noi che facciamo la guardia di notte e ci pagano 18 mila lire lorde». Giuliano Bettazzoni, il primario, è preoccupato. Mostra il registro e sospira. Accanto al nome, il referto: «Stato soporoso, respiro affannoso, somministrato Narcan, due fiale. Migliorato». C'è la firma del medico e quella che, frettolosamente, attribuiscono «al drogato». Al contrario di Bettazzoni, il direttore sanitario non si espone: «Anche la firma è oggetto dell'inchiesta», dichiara rapido. La ritiene falsa? «Non ho detto assolutamente questo: io sono super partes e non mi pronuncio fin quando non avrò una relazione scritta». E il dottor Rosa che avrebbe rifiutato il soccorso alle otto del mattino adesso dove sta? Il direttore sanitario non dice dove sia, ma assicura: «Certamente lo ascolterò, sentirò, tutti sono qui per fare chiarezza e aspettiamo anche la magistratura». Ad accusare Antonello Rosa ecco le figlie di Pasquale Santilli, Edda, 48 anni, e Gabriella, 42 anni. Dice Gabriella Santilli: «Ero accanto al letto di mio padre. E' arrivato correndo un infermiere a chiamare il medico. Gridava: avvertiva il dottor Rosa che c'era uno su una barella che stava male, molto male». E subito, a ruota, s'è presentato un autista della Croce Rossa: anche lui allarmato. Era Antonio Giammei. Silvestri mori¬ va, ma Antonello Rosa non gli ha dato ascolto. E a denunciare questa morte di ordinaria tossicodipendenza c'è, al Policlinico, un unico personaggio, Francesco Coppini, 44 anni, un sindacalista dalla barba rossa, infermiere. Distribuisce un volantino ciclostilato. Sottolinea il «cinismo» di una struttura ospedaliera italiana e si lascia intervistare dalla televisione. «Si può morire a pochi passi dall'Accettazione - afferma senza che un medico intervenga?». • Francesco Santini

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