Strasburgo condanna la nostra giustizia lumaca

Strasburgo condanna la nostra giustizia lumaca Per una causa di risarcimento danni un commerciante torinese ha dovuto aspettare 13 anni la sentenza Strasburgo condanna la nostra giustizia lumaca La Commissione europea sommersa da ricorsi italiani «Violato il diritto al giudizio in tempi ragionevoli» Il commerciante Nazareno Pellizzari, 60 anni, di Bassaho del Grappa, ma da anni residente a Torino, lotta da tredici anni e mezzo per ottenere un risarcimento di due miliardi. La giustizia italiana gli ha dato torto, Pellizzari si è rivolto alla Commissione europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, sostenendo che nel suo caso è stato violato l'articolo 6 della Convenzione europea, che garantisce ai cittadini degli Stati membri «un processo in tempi ragionevoli». La Commissione di Strasburgo ha dichiarato il ricorso di Pellizzari ammissibile, e quindi ha condannato lo Stato italiano a risarcirlo. Difficile dire quando questo avverrà, ma per il commerciante la decisione è già un'importante vittoria. Ha commentato il suo legale, avvocato Venesio: «La vicenda giudiziaria ha distrutto la vita del mio cliente: è stato lasciato dalla moglie, ha investito tutti i suoi averi nelle spese di giudizio. Purtroppo non vorrei che fosse una vitto¬ ria di Pirro». E ha spiegato: «Il ricorso di Pellizzari a Strasburgo porta il numero 13186 dell'87. Davanti alla Commissione sono pendenti decine di migliaia di ricorsi presentati da cittadini italiani, mentre quelli di cittadini di altri Stati aderenti alla Convenzione si contano nell'ordine di centinaia. Quando un.legale italiano si presenta a Strasburgo viene subito avvertito: "Il suo cliente dovrà avere pazienza: siamo sommersi dai ricorsi". La giustizia italiana, insomma, oltre a non garantire un processo in tempi accettabili, ha fatto lievitare il numero dei ricorsi alla corte di Strasburgo, con il risultato di provocare ulteriori inaccettabili ritardi nella definizione delle cause. La storia di Pellizzari è emblematica. Origine del procedimento: una partita di gioielli che nella primavera del '75 Pellizzari depositò presso l'agenzia della Cassa di Risparmio di Pinerolo che funziona¬ va anche come monte pegni. Stando alla versione del commerciante, «i preziosi, che all'epoca un perito stimò valere intorno ai 150 milioni, furono trasferiti all'agenzia 2 di piazza della Repubblica della Crt, a Torino, su consiglio del cav. Giovanni Chiesa, che era allora direttore. Chiesa s'adoperò perché i gioielli fossero venduti ad un negoziante, Ruggero Moro, pur sapendo che costui era insolvente. Moro, poi dichiarato fallito, mi versò nella sede dell'agenzia 2, oltre cento assegni postdatati, ciascuno di più d'un milione, assegni che non furono mai onorati per via del fallimento». Nel '79 Pellizzari denunciò Moro e il funzionario della banca. Ncll'82 Moro fu condannato a un anno di carcere ma la posizione di Chiesa fu stralciata. Nell'83 Pellizzari fece causa alla banca e al cav. Chiesa. Il resto della storia è riassunto nel ricorso presentato alla Commissione di Strasburgo: «All'istruzione della causa furono dedicate 25 udienze, dal 30 gennaio '83 al 30 marzo '88. Per ben due volte l'intervallo tra un'udienza e l'altra fu di circa sei mesi. Il 28 aprile '89 il tribunale respinse il ricorso di Pellizzari perché l'azione era già prescritta. Il testo della decisione fu depositato un mese dopo. La causa d'appello, iniziata il 20 settembre '89, fu assegnata a sentenza il 1° dicembre '89: il ricorso fu nuovamente respinto. Il 5 febbraio '90 Pellizzari si appellò alla Cassazione, che il 16 settembre '91 confermò la prescrizione». Il contenzioso è durato, dunque, sette anni e otto mesi. Per la Commissione di Strasburgo «un tempo non ragionevole». Claudio Coraauolo Nazareno Pellizzari, attende il risarcimento: due miliardi