Confindustria, nuovo Costa cercasi per l'ltalietta che insegue l'Europa

Confindustria, nuovo Costa cercasi per l'ltalietta che insegue l'Europa NOMI E COGNOMI Confindustria, nuovo Costa cercasi per l'ltalietta che insegue l'Europa CCELLENZA, si è ancora in tempo, ma siamo di fronte all'ultima possibilità di salvezza». Così, accorato, il 14 aprile 1947 Angelo Costa concludeva la lettera ad Alcide De Gasperì che fu alla base del patto tra la Confindustria e la democrazia cristiana. Quarantacinque anni dopo, poche tra le richieste contenute in quella missiva hanno perduto d'attualità in una Nazione ben diversa dall'Italia contadina del dopoguerra, a riprova dell'immutabilità di alcune semplici regole di buongoverno. «Il bilancio dello Stato», scriveva Costa, «è il punto fondamentale da risolvere per salvare la nostra economia. Il disavanzo, per la parte coperta con emissione di cartamoneta crea l'inflazione, per la parte coperta con prestiti ed imposte straordinarie sottrae, annientandoli, capitali alla produzione con conseguenze economiche altrettanto gravi. La soluzione perciò si può soltanto trovare attraverso una riduzione delle spese». De Gasperi rispose con il . celebre intervento pronunciato nel Consiglio dei ministri del 30 aprile: «Vi è in Italia un quarto partito, che è capace di paralizzare e di rendere vano ogni sforzo, organizzando il sabotaggio del prestito e la fuga dei capitali, l'aumento dei prezzi e le campagne scandalistiche. L'esperienza mi ha convinto che non si governa oggi l'Italia senza attrarre nella nuova formazione di governo, in una forma o nell'altra, i rappresentanti di questo quarto partito». Anche gli argomenti «politici», come si vede, non distano molto da quelli cor1 renti al giorno d'oggi sui I «salotti milanesi» e gli «sfa¬ scisti». Il patto industrialidc fu comunque siglato e ratificato con la formazione del quarto governo De Gasperi, senza comunisti, con Luigi Einaudi vicepresidente del Consiglio, ministro del Tesoro e delle Finanze, e Cesare Merzagora al Commercio estero. Adesso Bettino Craxi, che si è definito «candidato unico» alla guida del governo post-elettorale, ha lanciato il suo primo messaggio proprio al mondo industriale. Nessuno può prevedere se ci saranno le condizioni per un nuvo patto tra politica e industria, ma ripercorrere la recente storia patria è un esercizio utile, nel momento in cui andiamo a elezioni che, nell'opinione prevalente, saranno importanti per il Paese quanto quelle del 18 aprile 1948. Come accadeva quarantacinque anni fa, il mondo imprenditoriale è in fibrillazione, invoca un salutare choc, un modo di governare più adeguato a una grande democrazia industriale. E la ricerca da parte dei tre «saggi» del nuovo presidente della Confindustria, che mai è stata vissuta come una questione di routine, stavolta si connota come particolarmente scabrosa. Uomini come Angelo Costa non si trovano a ogni angolo di strada (é peraltro nei palazzi dei partiti non abbondano i De Gasperi), ma il nuovo leader confindustriale dovrebbe possedere proprio doti analoghe. Da una parte dovrà governare un biennio decisivo per il recupero di competitività delle imprese e per la loro internazionalizzazione; dall'altra dovrà capire fenomeni politici nuovi e complessi che non s'identificheranno più con il paradigma pietrificato cui siamo abituati da decenni. Siano riusciti bene o male, i presidenti della Confindustria son sempre stati scelti sulla base di un identikit ispirato alle necessità dei tempi. Dopo il mitico Costa, che in due riprese ha governato gli industriali fino agli Anni Settanta, c'è stata la transizione di Lombardi e poi alcune epoche ben caratterizzate. Gianni Agnelli ha governato l'emergenza; Guido Carli l'unità nazionale e il consociativismo politico; Vittorio Merloni l'era dell'industria diffusa, come il più grande dei piccoli; Luigi Lucchini ha rappresentato negli Anni Ottanta il trionfo del mercato; Sergio Pininfarina l'internazionalizzazione della nostra industria. E adesso? Gli industriali invocano a gran voce Cesare Romiti, che naturalmente non è il solo dotato dell'autorevolezza necessaria. Chiunque verrà scelto dai «saggi» dovrà comunque prepararsi ad affrontare un duplice scenario: l'avvio del rinnovamento istituzionale e la ridefinizione del ruolo dell'impresa nella «Seconda Repubblica» o un periodo di altissima instabilità politica capace di stroncare anche il più solido tra gli apparati industriali. ; L'Italietta del dopoguerra è un ricordo lontano, ma qualche lezione forse può ancora darla. Alberto Staterà

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