Manzoni il provocatore e la rivoluzione bianca

Manzoni il provocatore e la rivoluzione bianca Da oggi 148 opere in mostra al Castello di Rivoli Manzoni il provocatore e la rivoluzione bianca I—ipl RIVOLI I .MIGURA di primo piano mi nel panorama della culI tura visiva internazionaLAJle nell'ultimo dopoguerra, Piero Manzoni, nato a Sonano (Cremona) nel 1933 morì trentenne appena, nel suo studio di Milano, il 6 febbraio 1963. A ventinove anni di distanza, l'ampia esposizione che, curata da Germano Celant, viene inaugurata oggi nel Castello di Rivoli - quarta tappa dopo Parigi (Museo d'arte Moderna della città), Herning (in Danimarca, Museo d'arte) e Madrid (Fondazione «La Caixa») - assume quindi anche un valore commemorativo (fino al 3 maggio). Non sembra tuttavia costituire il risarcimento ancor dovuto a Manzoni dal pubblico più vasto che, al solo ricordo delle famose sue scatolette di Merda d'Artista, ancor s'indigna, senza tentare di capire il significato e la portata di quell'autentica provocazione. La presenza, proprio al centro della prima sala, entro la teca in plexiglas, di ventitré delle novanta scatolette «d'autore» prodotte nel maggio del '61 e tutte debitamente firmate - 30 grammi di materiale organico inscatolato e venduto ogni grammo al prezzo di giornata dell'oro sembra quasi un esorcismo, mentre tutt'attorno, e poi di sala in sala, la mostra prende avvio e articolato sviluppo. Nei molteplici periodi, lasciando indietro soltanto la preistoria dei primissimi Anni 50, i centoquarantotto titoli del catalogo (Electa) compongono la più ampia rassegna fin qui dedicata all'artista, superando anche i centoventisei pezzi, scelti già allora da Celant, per la prima postuma (1971) ordinata alla Galleria nazionale d'Arte Moderna di Roma da Palma Bucarelli. Dopo gli inizi di carattere tradizionale, che tra il 1952 e il '55 l'avevano indotto a ritrarre i paesaggi dei luoghi in cui viveva, Piero Manzoni - segnato nella sua formazione dalla presenza di Enea Ferrari, singolare mae- stro nell'isolata provincia di Soncino - continuò per qualche tempo a dipingere in chiave naturalistica. Potè oscillare poi tra immagini antropomorfe o di oggetti noti (pinze, spille), e i programmatici «Senza titolo» ch'erano in realtà ancora dei paesaggi dove, quasi spegnendo nel catrame i solari guizzi materici ch'erano stati d'un Morlotti, l'artista s'era già spostato verso Burri. L'occhio della mente sempre attento all'estroso Lucio Fontana, suo vero punto di riferimento. Pronto, Manzoni, a rivelare di lì in avanti ogni altra suggestione o ascendenza nel segno di Kline e nell'informale materico di Fautrier, mentre sembrava ammiccare, ma con tutt'altro convincimento, ad un neodadaismo di ritorno. Manzoni s'era intanto dichiarato per una più «libera dimensione»: non soltanto del quadro, ma di ogni risorsa creativa, perseguendo la sua concezione nei modi più diversi, così che mentre non ricorreva più alle rappresentazioni (appartenenti a una tradizione per lui ormai superata), puntava su una oggettuale creatività, impegnata con lucida consapevolezza e determinazione. Manzoni, aveva avvertito nel '71 Palma Bucarelli, «non è un isolato, né un ribelle». Potè apparire in contatto con Castellani e Bonalumi, ma si pongono tra i suoi più diretti interlocutori anche Beuys e Ben, Rauschenberg, Klein, in un complesso anche vario di ricerche, sebbene per Manzoni assai presto «un quadro vale solo in quanto è, essere totale... due colori intonati o due tonalità di uno stesso colore sono già un rapporto estraneo al significato della superficie unica». Nascono gli Achromes, dalle forme più svariate: le superfici tassellate di tele più o meno fini, quelle a perirne di materia rappresa, e ancora superfici solcate orizzontalmente o verticalmente da fasce di tele pieghettate, i materiali espansi, erosi sino a farne dei bassorilievi. Superfici accomunate tutte dalle caratteristiche stesure gessate, poi, sotto più luminosi, corposi strati di caolino. Ma per Manzoni, come dicono anche i suoi scritti, nella rivista Azimuth, non si trattava di «dipingere» un bianco su bianco, o un blu su blu: voleva una superficie «integralmente bianca... un bianco che non è un paesaggio polare, una materia evocatrice o una bella materia, una sensazione o un simbolo o altro ancora: una superficie bianca che è una superfìcie bianca e basta». Diventano Achromes i batuffoli di cotone idrofilo e le fibre naturali o artificiali, in lievissimo peluche, pronte ad aprirsi come soffici piumini, a volte come sottilissimi arabeschi spaziali. Possono diventarlo anche le «rosette» di pane. Sempre in Azimuth nel febbraio del '60, Manzoni dimostrava nella «linea (che) si sviluppa solo in lunghezza e corre all'infinito», il superamento del quadro: «l'unica dimensione è il tempo». Dovette esserne affascinato: ima linea che può soltanto tracciarsi «lunghissima, all'infinito, al di fuori di ogni problema di composizione o di dimensioni: nello spazio totale». Datate all'inizio del '59, dapprima corte, poi di varie dimensioni, esposte ad Albissola e a Milano, giunsero a lunghezze estreme, come quella di 7200 metri eseguita a Herning il 14 luglio 1960 ed esposta per la prima volta in Italia (altro centro sala) nel suo contenitore di piombo, bello come una veneziana vera da pozzo. Tra le testimonianze d'una preiconografia concettuale, si porranno gli alfabeti e le carte geografiche, i calendari, le uova annegate in resine acriliche, e quelle segnate dal suo polpastrello e offerte al pubblico «da divorare». Ed è Celant a mettere in evidenza il lapidario significato delle nuove tautologie, nel momento in cui Manzoni offre il proprio essere, il corpo (suo o dei modelli che si prestano) per dar concretezza alla sua identificazione tra arte e vita. Nascono il Fiato d'artista e le progettate Fiale di sangue d'artista che avrebbero ripreso il filone della Merda d'artista conservata al naturale (Mode in Italy). Ma gli si accompagna l'idea delle Basi magiche realizzate verso la metà del '61 (per le quali «qualunque persona, qualsiasi oggetto vi fosse sopra era, finché vi restava, opera d'arte») e quella delle Sculture viventi: proposte in mostra a Roma, queste, firmando le persone alle quali Manzoni rilasciava una «ricevuta di autenticità»; come fece anche a Glucksburg, in casa Petersen, con le ragazze firmate sulla nuda pelle. Ed era sempre il proporsi del gesto forse disperato, ma ancor vivo, d'una esistenziale volontà provocatoria. Angelo Dragone Dallo scandalo della «Merda d'artista» al riconoscimento internazionale Morì a trentanni il 6febbraio 1963. Le ragazze nude firmate sulla pelle A sinistra, «Achrome» ( 1961 -62). Sopra, due scatolette della «Merda d'Artista» prodotte nel '61 e ora esposte anche al Castello di Rivoli nella grande mostra commemorativa m WS Piero Manzoni: a ventinove anni dalla sua morte, si esplora la sua arte, oltre lo scandalo