E se diventasse segretario? di Filippo Ceccarelli

E se diventasse segretario? FRA ALLEATI E AVVERSARI E se diventasse segretario? Da «peone» a leone, un destino in salita E ROMA se un giorno, Segni... Sì, se alla fine Segni diventasse segretario... Tra clacson e portiere blindate che sbattono, a piazza del Gesù (intasata dall'ora di pranzo) il bisbiglio giunge alle orecchie dell'onorevole Sbardella. Che, essendo già di buon umore, si fa un'altra bella risata: «Segretario? E de che?». Nessuno risponde. Sbardella continua a ridacchiare: «E' 'na barzelletta!». Poi, con atteggiamento munifico, punta il dito verso un giovane con cappello a falde larghe, conosciuto alle cronache come «Cavallo Pazzo». «Ecco - fa Sbardella stabilendo un inedito parallelismo ecco Cavallo Pazzo». Come dire che Segni ha le stesse possibilità. Forse lo Squalo ha ragione. Ma forse può anche essere un modo, tra i più coloriti certo, per esorcizzare qualcosa. Colpiscono, a proposito dell'ultimo Segni, le ironie di Gava o le accuse di Martinazzoli. Colpiscono perché tutti e due corrono per la segreteria. E improvvisamente vedono spuntare un terzo incomodo. Eventuale sì, ma sicuramente incomodo. Giochino ai margini delia direzione. Si consideri che davvero «il caso Segni» non esista e che quell'esibizione di simboli e sondaggi siano un colpettino per alzare il prezzo. Che quindi Mariotto si presenti (con tanto di patto) ed abbia il suo bel successo personale. Poi si immagini, sempre per assurdo, che la de vada incontro alla classica stangata-choc. Di quelle che suscitano un chma emotivo da «si salvi chi può» e da «estremi rimedi». Bene, sono concepibili in questo frangente «caminetti» tra personaggi da terza età o veti incrociati di correnti distrutte dalla preferenza unica? E non potrebbe darsi, piuttosto, un'istintiva, naturale, logica ricomposizione intorno a quel personaggio - democristiano, diamine - che già oggi rappresenta la più efficace carta di riserva? Insomma, se un giorno... E tutto sommato se lo tiene stretto, la de, questo segretario da periodo ipotetico. Così come lui continua a tenersi ben aderente al partitone di gomma che non si appassiona al suo caso o di- spensa magnanima indifferenza nei suoi confronti. L'uomo è prudente. Cocciuto ma - vale la pena di ripeterlo prudente (magari, per i non de, anche furbacchione). Negli ultimi mesi, quelli che seguono al successo referendario, ha detto almeno cinque volte che non intende farsi la sua correntina. Alla domanda se avesse mai avuto la tentazione di abbandonare il partito ha riposto: «Mai». Poi, nelle ultime settimane, sia pur quasi impercettibilmente, ha cominciato ad assumere un altro tono: orgoglioso rifiuto di una mediazione interna, lettere pubbliche, presenze centellinate e lettere private. Ma soprattutto ai soliti temi istituzionali ha abbinato quelli più direttamente politici: attenti a non svendere la de. Che, per un candidato, non è molto ma rappresenta pur sempre una buona base di partenza. Segni: da peone a leone. Per ora sembra a metà strada. A risucchiarlo verso quel destino triste e anonimo (che peraltro il personaggio ha vissuto per tanti anni) c'è prima di tutto un quadro, piuttosto desolante, di al- leati interni. Gente perbene e generosa che però non porta voti. Saretta, Carelli, Speranza, Agrusti e così via. Con gli schemi tradizionali questo chiuderebbe il discorso e buonanotte. Poi c'è un fattore - un po' più complicato - che riguarda il personaggio e che Indro Montanelli ha centrato con precisione all'inizio di gennaio. Così: Segni, leader poco carismatico, «più suggeritore che attore», «più uomo di riflessione che d'azione», «non ha il gusto per il potere», «rilutta al comando», «manca di protervia e cinismo». Paradossalmente, sono limiti che oggi, con questa de, renderebbero impossibile qualsiasi corsa alla segreteria. Ma domani, soprattutto in caso di batosta elettorale e massimamente in caso di batosta elettorale al Nord, quei limiti potrebbero aggiungersi alle virtù. Che già ci sono. A cominciare dall'illustre carta d'identità che rende Segni un hidalgo democristianissimo. Poi l'onestà che, detta in forme più brutali, rende il candidato non attaccabile né ricattabile sul piano personale. Un'immagine in linea con gli Anni Novanta. Ancora: modernità, atlantismo, moderatismo temperato da due anni di convivenza - nel suo stesso ufficio - con tutti i referendari possibili e immaginabili, dai pidiessini ai radicali, dai laici ai cattolici democratici. Ottima stampa e stima da parte degli imprenditori. Anche questi due ultimi punti di forza, nella de, non sono ritenuti indispensabili. O almeno: non lo erano fino a ieri. Filippo Ceccarelli Montanelli «Non ama il potere» Sbardella «Segni leader? E di che cosa?»

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