Segni ha una lista di scorta di Fabio Martini

Segni ha una lista di scorta La de frena su Craxi a Palazzo Chigi, ma la sfida per il «patto» resta aperta Segni ha una lista di scorta Venti deputati pronti a seguirlo Forlani: deve rispettare le regole ROMA. La sapienza democristiana - che tutto digerisce e assorbe - prende voce nelle parole di Arnaldo Forlani: «Un caso Segni? Non esiste e comunque non mi appassiona». E' l'ora di pranzo e il segretario della de, prima di tornarsene a casa, lascia a giornalisti e telecamere che lo assediano, la sua verità e il suo messaggio: minimizzare. Al punto che, a chi gli chiede se abbia letto la lettera di chiarimento ricevuta da Segni, Forlani risponde così: «Gli ho dato un'occhiata, mi sono dovuto occupare di altre cose importanti...». All'uscita della direzione democristiana ecco anche Giulio Andreotti che, con impeccabile sintonia, ripete le stesse parole, ma proprio le stesse di Forlani: «Io credo che un caso non esista». Ma almeno ne avete parlato di Mario Segni e del suo patto trasversale? «Segni? E chi è?», ghigna l'andreottiano Vittorio Sbardella. Doveva essere un processo al democristiano dissidente. Doveva essere l'occasione per passare ai raggi x la minaccia di Segni e dei suoi amici: «Non voteremo un governo Craxi che chiudesse la porta alle riforme elettorali». Ma Forlani, De Mita, Andreotti e Gava hanno scelto la strada del silenzio, per riassorbire la ferita senza un plateale spargimento di sangue. Ma l'ostentata indifferenza dei capi democristiani cela un'inquietudine che non si è ancora riassorbita. Tanto più che proprio mentre era in corso la direzione de, Mario Segni, in una riunione a porte chiuse, pur confermando la volontà di restare nella de, illustrava ai suoi supportar democristiani - una ventina di parlamentari - due carte suggestive: un sondaggio che attribuisce ad una lista Segni il 6%, ed un progetto di simbolo per questa lista che potrebbe contenere un richiamo al referendum del 9 giugno. E l'ipotesi di un addio su due piedi alla de sarebbe piaciuta molto a Gianni Rivera, al professor Pietro Scoppola e al braccio destro di Segni Cesare San Mauro. Da parte loro i capi democristiani minimizzano ma restano diffidenti perché la sfida di Mario Segni arriva su due fronti: quello più tradizionale della linea politica («Non svendete palazzo Chigi a Craxi prima delle elezioni e comunque il nostro alleato naturale è il pri di La Malfa») e quello inedito - più insidioso - del patto elettorale. Sul piano politico la risposta è relativamente più semplice e infatti Forlani dice che sul patto per Palazzo Chigi «quelle di Segni sono valutazioni personali», perché invece «spetta all'elettorato dare indicazioni in ordine agli equilibri» di governo. All'unisono Giulio Andreotti: prima di decidere l'inquilino di palazzo Chigi «dobbiamo fare le elezioni». Ma la partita più difficile, perché in casa de non si è mai visto qualcosa di simile, è quella che si gioca sul patto elettorale, l'accordo cioè che Segni propone ai parlamentari di tutti i partiti: quello di «ispirare la propria azione di parlamentare nel sostegno delle riforme elettorali» e questo «anche in caso di voto di fiducia al governo» e comunque «con priorità rispetto ad ogni vincolo di partito». Dopo le elezioni potrebbe profilarsi questo scenario inedito: che una quota non trascurabile di parlamentari democristiani decida di non votare la fiducia ad un governo che escluda dal proprio programma la riforma elettorale in senso mag- gioritario auspicata da Segni. E non sono pochi i democristiani che seguono il parlamentare sardo e che sono pronti a sottoscrivere il patto: ieri pomeriggio, nel, summit segreto convocato da , Segni erano presenti una ventina di onorevoli. Tra gli altri Borri, Agrusti, Zamberletti, Lipari, Poggio, Rivera, Matulli, Silvia Costa, Ciccardini, Laura Fronza Crepaz, Carelli, Speranza. Si sono confrontate opinioni diverse e alla fine Segni ha trovato un punto di mediazione: si va avanti col patto, a tutti i costi. Ma naturalmente tra i capi democristiani l'ipotesi che, un domani, 20 parlamentari possano non votare la fiducia ad un governo sostenuto dalla de, è uno spettro da esorcizzare. Ed è per questo che a piazza del Gesù si sussurra la possibilità che, questa volta, ai candidati parlamentari venga sottoposto un impegno scritto supplementare rispetto a quello tradizionale, di fedeltà ai valori della de e di non iscrizione alla massoneria. E ieri sera, al termine di una lunghissima riunione - in due tappe - della direzione de, Forlani ha lanciato un avvertimento: «C'è la necessità di rispettare certe regole, prescindendo dai quali non esiste più un'ordinata ; convivenza in un grande parti-. to». Come dire: Segni non uscirà dalla de, ma il caso non è chiuso. Fabio Martini Un sondaggio attribuisce il 6% dei voti ad una eventuale lista guidata dal parlamentare promotore dei referendum Mario Segni. Secondo Forlani «non esiste un caso e comunque non mi appassiona»

Luoghi citati: Lipari, Roma