L'esame del Dna inchioda il bandito

L'esame del Dna inchioda il bandito Ferito nella rapina al ristorante andò in ospedale: «Un tizio mi ha sparato sotto casa» L'esame del Dna inchioda il bandito // sangue dell'uomo confrontato a Scottami Yard Era uguale a quello trovato sul luogo dell'assalto Ad inchiodare il rapinatore è stato l'esame del Dna, una prova inconfutabile che lo ha messo con le spalle al muro. Nilo Ferrari, 30 anni, ha sempre negato di aver assaltato una sera cu gennaio dello scorso anno il ristorante «Da Porcellana» di Orbassano. Ma le tracce di sangue lasciate su un muro vicino al locale mentre cercava di sottrarsi alla cattura gli sono state fatali. Ieri il giovane è stato condannato a 7 anni di carcere dai giudici della quarta sezione (presidente Quaini). Il pm Ferrando aveva proposto 7 anni e mezzo di reclusione. In aula Nilo Ferrari ha continuato a respingere le accuse, ma non ha convinto nessuno. L'imputato non ha beneficiato di alcuna attenuante. Il colpo al ristorante non era il primo: al suo attivo Ferrari, difeso dall'avvocato Francesco Bosco, aveva altri assalti a discoteche e birrerie. La rapina avvenne la sera del 2 gennaio mentre nel locale «Da Porcellana» di strada Stupinigi 79 si trovavano una trentina di persone: una ventina (in gran parte camionisti) avevano appena finito di cenare, gli altri erano frequentatori abituali, impegnati a giocare a ramino. Erano entrati due giovani con una calzamaglia sul volto. Uno, con un fucile a canne mozze, si era fermato un paio di metri oltre la porta. Il secondo, con una pistola in pugno, si era invece diretto versola cassa, dove c'era Giovanni Porcellana, il titolare. Aveva afferrato l'incasso, circa mezzo milione. All'improvviso nel locale si era scatenato il finimondo. Un cliente, guardia giurata della Telecontrol, aveva reagito e sparato. Sei colpi, tutto il caricatore della sua 7,65 Parabellum. I banditi avevano risposto con colpi di fucile e di pistola. Un proiettile aveva raggiunto alla spalla Pietro Cocco, un operaio di Tetti Francesi a Rivalta. I rapinatori erano riusciti a scappare, ma uno dei due era ferito e nella fuga aveva lasciato tracce di sangue su un muretto fuori del locale e su alcune foglie. Qualche ora dopo, da via Ar- tom 81/13, era stata chiamata un'ambulanza: Nilo Ferrari si era fatto accompagnare in ospedale, e all'agente di servizio delle Molinette aveva spiegato: «Mi ha sparato un tizio sotto casa, mentre stavo rientrando. No, non so chi possa essere stato, non ho nemici». Quel racconto non aveva, però, convinto la Squadra mobile. Sotto l'abitazione del Ferrari non erano state trovate tracce di sangue. In casa, nella lavatrice c'erano ancora i vestiti appena lavati. Il collegamento tra la rapina di Orbassano e il ferito apparve subito evidente. Ma come inchiodare un tipo come Ferrari, duro, deciso, che continuava a negare tutto? Il sostituto procuratore Ferrando fece raccogliere dagli uomini della scientifica campioni di sangue lasciati sul muretto per confrontarli con quello dell'indiziato. I flaconcini furono inviati a Scotland Yard, e due settimane dopo arrivò la risposta: l'esame del Dna inchiodava Ferrari. Ieri, in aula, il giovane ha continuato a negare: «Non so nulla di quella rapina». Nessuno gli ha creduto. Era il terzo assalto subito dal ristorante. Neppure i precedenti erano stati fortunati per i rapinatori: nel dicembre '86 tre malviventi erano stati messi in fuga a fucilate dal proprietario Giovanni Porcellana. Uno era stato ferito e poi arrestato in ospedale. Nino Pkrtropinto Nilo Ferrari è stato condannato a sette anni di carcere per rapina

Luoghi citati: Orbassano, Rivalta