Ottantamila gavette d'amicizia

Ottantamila gavette d'amicizia l'odissea dei prigionieri inglesi in Italia dopo l'8 settembre Ottantamila gavette d'amicizia Uno storico ricostruisce tragedie e aiuti NEL settembre 1943 gli italiani uscirono dal conflitto e permisero a Hitler di occupare la maggior I parte del loro Paese. Ma pochi giorni di tregua offrirono a 80 mila prigionieri di guerra alleati la ventura di realizzare la più grande evasione di massa della Storia. Chi visse quell'avventura ha lasciato molti racconti e interessanti memorie. Ora Roger Absalom ha scritto una storia generale di quel che accadde nel '43: A strange alliance. Aspects of escape and survival in Italy 1943-45 (ed. Leo Olschki, Firenze). Il libro, pubblicato in Italia ma scrìtto in inglese, sarebbe stato ancora più completo se corredato di mappe e di un indice delle sigle, ma è comunque un saggio molto incisivo e di accattivante lettura. Tanti particolari drammatici e finora sconosciuti sono stati tratti dagli archivi di Washington, Pretoria, Canberra e Londra. In Italia c'erano oltre settanta campi di concentramento con prigionieri prevalentemente di origine britannica o dei Paesi del Commonwealth. In alcuni campi gli ufficiali superiori alleati non seppero cogliere l'occasione, misero guardie a impedire le fughe e minacciarono persino di ricorrere alla legge marziale, col risultato che 30 mila prigionieri furono presi dai tedeschi e deportati in Germania. Churchill probabilmente ne fu inorridito. Ma per fortuna ci fu anche una forte ondata di disobbedienza e altri ufficiali sfidarono coraggiosamente gli ordini: con i loro uomini si diedero alla macchia, qualche volta con la connivenza e il suggerimento dei comandanti italiani dei campi. Quelli che si mossero subito ebbero di gran lunga le maggiori probabilità di successo. Entro la fine del '43 cinquemila uomini raggiunsero le truppe di Alexander nell'Italia meridionale o attraversarono le Alpi raggiungendo la neutrale Svizzera. Dopo di che la maggior parte di quelli che restarono nel Nord o nel Centro dell'Italia andarono incontro a ogni genere di difficoltà nei 18 mesi, prima della fine della guerra nel 1945. Molti riuscirono a mettersi al riparo, ma la maggior parte visse quei mesi sempre in fuga o trovando ospitalità in famiglie che li nascosero. Dovettero affrontare non soltanto U pericolo dei tedeschi, ma pure quello di un brutale regime fascista riesumato da Mussolini, che portò a una crudele guerra civile fino all'ultimo villaggio. Molti furono aiutati da varie organizzazioni alleate, spesso tramite agenti italiani che trasmettevano denaro e preparavano vie di fuga attraverso le linee nemiche. Delude sentir parlare delle reciproche gelosie e rivalità tra alcune di queste organizzazioni. Il successo più grande gli ex prigionieri lo ebbero nella Roma occupata, dove ricevettero l'aiuto inestimabile anche se non ufficiale da personaggi della gerarchia vaticana. La maggioranza dei fuggiaschi tuttavia riuscì a salvarsi fidando sull'iniziativa personale; le loro storie costituiscono la parte più cospicua del libro di Absalom. Episodi isolati di coraggio e spirito d'iniziativa sono stati desunti dagli archivi della commissione alleata di inchiesta. Il caporale di cavalleria neozelandese Scott attraversò più volte l'Italia Nordorientale dopo aver trovato un facoltoso italiano che lo aiutò a finanziare un'organizzazione per la sopravvivenza di 200 soldati alla macchia. Un numero analogo di uomini fu messo in grado di attraversare la frontiera svizzera da un'altra organizzazione creata da un soldato semplice australiano, John Peck. a maggiore Gordon Lett e a marinaio scelto James Wilde assunsero a comando di due grosse bande partigiane italobritanniche, che tennero impegnate apprezzabili forze nemiche in Liguria e sugli Appennini. Quanto abbia contribuito alla vittoria finale la lotta partigiana è ancora oggetto di dibattito; un rapporto del capitano Robert Williams ha descritto le difficoltà ad adattarsi a metodi e obiettivi della guerriglia. Molti soldati regolari erano diffidenti verso i partigiani per la presenza predominante di elementi comunisti, ma è interessante quel che affermarono i generali Neame e O'Connor, secondo i quali la maggior parte dei comunisti che incontrarono durante la loro fuga erano «non più a sinistra dei conservatori inglesi». Pochi prigionieri evasi dai campi italiani iniziarono la loro avventura con qualcosa in più di una vaga idea della geografia d'Italia, ma, fatto straordinario, furono aiutati nelle loro peripezie da centinaia di migliaia di italiani. A volte era coinvolto un intero villaggio, a dispetto della presenza permanente di una guarnigione tedesca. In un piccolo paese vicino ad Aquileia c'erano tre case che si affacciavano su un cortile comune, una occupata da evasi alleati, l'altra da soldati tedeschi, la terza da partigiani italiani, e tutto il paese lo sapeva tranne quelli che nelle tre case abitavano. Alcuni ex prigionieri furono assistiti dalla polizia locale oppure da ex fascisti dissidenti o ancora da funzionari che fornirono loro falsi documenti d'identità. Alcuni ebbero il trasporto assicurato da una fabbrica dell'Alfa Romeo. I preti raccolsero denaro dai parrocchiani più abbienti e trovarono guide tra i contrabbandieri «conosciuti forse in confessionale». Il regista Luchino Visconti fece diversi viaggi da Roma con pacchi di cibo destinati a un gruppo di ex prigionieri nascosti tra le colline. Tre sorelle di Padova portarono diverse centinaia di uomini al confine svizzero prima di essere loro stesse catturate e inviate in campo di concentramento. Tutto questo accadeva malgrado le cospicue taglie offerte dai tedeschi a chiunque denunciasse la presenza di un prigioniero evaso, e malgrado gli italiani sapessero che aiutando gli alleati rischiavano la pena di morte. Alcide Cervi, un agricoltore socialista, perse tutti e sette i suoi figli in un'esecuzione sommaria. Roger Absalom offre un quadro affascinante di una società contadina con una lunga tradizione di mutuo aiuto e cu ospitalità: non uno straniero in difficoltà con le autorità che governavano in quel momento era visto come un alieno. La differenza di lingua era un ostacolo minore. Non c'è traccia, o se c'è è molto tenue, di pregiudizio per il colore della pelle. I pastori e i carbonari scoprirono nella debolezza e nella gratitudine di quegli strani visitatori d'un altro mondo la dignità di se stessi, ampiamente negata loro dalla cultura della società in cui vivevano. La gente che non aveva legami con a fascismo e non aveva voluto quella guerra riusciva a trovare, pur con notevoli rischi, una nuova dignità e la speranza in quel futuro migliore che a fascismo aveva tanto promesso senza riuscire a offrirlo. Il diario di un prigioniero alleato evaso racconta che più povera era la casa, più grande era l'ospitalità. Altri raccontano che la principale incognita cui andarono incontro era la gran quantità di vino che veniva loro offerta da ogni famiglia contadina in cui si imbattevano. Naturalmente ci furono tante tragedie ed episodi di eroismo e generosità, soprattutto dopo che ì tedeschi riuscirono ad infiltrarsi in organizzazioni per la fuga degli ex prigionieri alleati. Alcuni fuggiaschi, ma un numero sorprendentemente basso, furono traditi. Molti, con ogni probabilità la maggior parte, non rividero mai più, per ringraziarli, coloro che li avevano aiutati. E le autorità britanniche si rivelarono davvero ingenerose nel riconoscere, a guerra finita, l'assistenza che un grandissimo numero di italiani aveva prestato con forte rischio personale. Denis Mack Smith Cascine e villaggi come rifugi. Contrabbandieri a far da guide Il generale Alexander, e Churchill A destra: prigionieri anglo-americani nelle vie del centro di Roma In alto: un campo di concentramento