La marachella del giudeo

La marachella del giudeo Prestiti ebraici nell'italiano La marachella del giudeo Ti prestiti arabi nella linI gua e nei dialetti italiani I sono abbastanza copiosi I ma non possiamo dire Mi altrettanto di quelli ebraici. Se nel suo volume su Le parole straniere (Zanichelli) Paolo Zolli enumera molte voci arabe senza trascurare quelle persiane giunte tramite l'arabo, per quanto riguarda l'elemento ebraico ne presenta solo diciannove. Con molta precisione egli distingue fra parole penetrate nelle traduzioni latine della Bibbia, quelle degli usi e costumi degli ebrei e infine le voci ebraiche diffuse a livello popolare. Del primo gruppo cica alleluia, amen, Messia, osanna, rabbi (e) rabbino. Al secondo appartengono kipùr «giorno dell'espiazione»; talet «mantello dei fedeli durante il rito»; torà «legge data da Dio agli uomini, raccolta di trattati giuridici e religiosi»; càbala corrente mistica ebraica poi «raggiro», infine «sistema per indovinare i numeri del lotto»; massoni «tradizione»; kibbntz «fattoria collettiva in Israele». Del terzo gruppo fanno parte badanài (e tananài) «grida confuse», cacàm «sapiente», tavarre «cosa da nulla», rasciàn «astuto», de mona «fiducia», moscòn «pegno». Dal giudeo romanesco viene in italiano fasullo e anche marachella. Come si vede, di queste poche voci, pochissime sono note a un pubblico anche colto. Questo non significa che nella lingua e nei dialetti italiani non si trovino altri elementi ebraici. Non bisogna dimenticare che le comunità ebraiche hanno vissuto accanto a più numerosi gruppi di popolazioni italiane e, pur mantenendo la loro religione e le loro tradizioni, si sono trovate in uno stato di bilinguismo in cui, per le necessità quotidiane, dovevano usare le lingue o i dialetti locali, introducendo, però, elementi ebraici e a queste varietà sono stati dedicati studi importanti come quello di Umberto Fortis e Paolo Zolli sulla parlata giudeo-veneziana, di Beccani e di Bedarida sulla parlata giudea di Livorno, per non ricordare ricerche su molte altre varietà riguardanti Mantova, il Piemonte, Ferrara, Modena, Firenze, Roma. E' un capitolo di storia linguistica italiana che manca di un ampio lavoro di sintesi, tanto più necessario in quanto il giudeo-italiano tende a perdersi come tante altre parlate italiane, cosa che è stata particolarmente rilevata da Giovanna Massariello Merzagora e Paolo Zolli. Inoltre, un lavoro di Maria Mayer Modena sulla rivista L'Italia dialettale del 1988 giunge alla conclusione che la provenienza di voci giudeo-italiane nei dialetti dell'Italia centro-settentrionale è individua¬ ta soprattutto da due fatti: l'interdizione religiosa o morale per cui si spiegano parole come sagatar «sgozzare», ciani «omosessuale», taref «malaticcio», o la necessità di ricorrere a parole di gergo come manot «denaro», cornar «asino», tafus «prigione», «far la sentirà» «far la spia» (scemirà in ebraico significa guardia), ecc. Che l'ebraico si trovi nei dialetti significa vedere negli stanziamenti ebraici in Italia momenti importanti della loro e della nostra storia. Torniamo alle voci entrate nella lingua. Il loro numero si può arricchire, come ha cercato di fare in un articolo recente su questo giornale il grandissimo scrittore e orientalista Guido Ceronetti? A questo proposito ho qualche dubbio. Tenendo ben lontani meschino e il genovese camallu «scaricatore di porto» che vengono dall'arabo, taccagno è di provenienza spagnola, avo viene dal latino avus, di origine indo-europea, in quanto la stessa voce è presente in armeno, in lituano, in lingue slave, germaniche e celtiche, e mistero dal latino mysterium è fedele riproduzione del greco mystérion, da un verbo di probabile origine onomatopeica che significa «chiudere le labbra» (con riferimento dunque, a un culto iniziatico circoscritto ai soli fedeli). Parole, poi, come sacco e balsamo hanno origine semitica ma non giungono direttamente in italiano da lingue semitiche, bensì con tramite latino e greco. Prendiamo un altro esempio: la voce giubileo, che è, sì, di origine ebraica (da iobel «capro espiatorio») ma l'italiano la riceve dal latino di San Girolamo, (annus) iubilaeus che ha di fronte a sé il greco iobelatos, che lo trae - è vero - dall'ebraico. Dire che si tratta di prestito ebraico sarebbe come sostenere che la parola giardino è di origine germanica, mentre ci è arrivata dal francese antico che l'aveva avuta dal germanico. Certo, nella civiltà italiana e non solo italiana ci sono concetti ebraici, ma altra cosa è fare la storia delle idee altra la storia delle parole, così soggette a muoversi e a portare messaggi che, anche se venuti da una certa fonte, possono essere travestiti in modo diverso segnando il percorso di queste stesse idee. Insomma, si deve ammettere che le parole di origine dotta vengono in italiano generalmente dal latino e dal greco, nei quali erano confluiti apporti religiosi, ideologici, sociali di altri popoli, fra i quali la civiltà ebraica ha avuto una parte fondamentale, specie con la diffusione del cristianesimo, che segnò, nonostante tanti travagli, un ponte fra l'antico mondo ebraico e il mondo moderno. Tristano Bolelli Particolare del «Pozzo di Mose» nella Certosa di Champmol a Digione