Laura Betti risponde a Naldini: non sono protagonista, ma serva di 1. R.

Laura Betti risponde a Naldini: non sono protagonista, ma serva LETTERE AL GIORNALE Laura Betti risponde a Naldini: non sono protagonista, ma serva Non ho nessuna tesi su Pasolini e Gladio 1 ) Mi permetto di attirare l'attenzione sulle pesanti manipolazioni provocate dai titoli de La Stampa riguardanti l'articolo del primo febbraio e l'articolo del 2 febbraio. Che i titoli abbiano la funzione di richiamare ad ogni costo l'attenzione del pubblico è cosa nota anche ai «manipolati» ed è il prezzo che si paga per vivere ed amare un Paese in fase di guerra civile. Nel primo si dice che «...la Betti avalla...», come se la Betti fosse un magistrato in toga od altro. Ciò che la Betti poi dice all'interno dell'articolo non avalla un bel niente e tengo a precisare che condivido in pieno le rimostranze in merito di Repubblica del 2 febbraio. Nel secondo articolo, con l'aiuto del suo giornale, Naldini «...respinge la tesi di Dario Bellezza e Laura Betti». Ora io non ho proposto né ho da proporre alcuna tesi su Gladio and company e stop. D'abitudine - è noto - non scherzo su argomenti del genere. 2) Quanto alle dichiarazioni di Naldini del 2 febbraio, sollecitate da Mirella Appiotti, sono straordinariamente sprovviste di senso logico. Ho rinunciato da anni al mio ruolo di autentica protagonista - di cinema, di teatro - a favore del ruolo di serva (vedi Teorema). Questo è quanto faccio nel dirigere l'Associazione «Fondo Pier Paolo Pasolini» al meglio delle mie forze, convinta della necessità, convinta di dovere molto a Pier Paolo Pasolini, io, come tutti voi. 3) Tralascio le pesanti offese a me dirette, anche se, recentemente, le serve sono davvero trattate come esseri umani. Ho l'obbligo però di chiarire, a proposito del volume «Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte» chiamato in causa, che né Alberto Moravia, né Fernando Bandini, né Nino Marezzila e Guido Calvi, né Carla Rodotà e Stefano Rodotà e Corredino Castriota, Franco Misiani e Luigi Saraceni di Magistratura Democratica e Pietro Mastroianni, Tullio De Mauro, Agostino Pirella, Paolo Volponi, Francesco Leonetti, Mario Spinella, Franco Fortini, Andrea Zanzotto, Gianni Scalia, autori del volume in questione, sono riconducibili al ruolo di psicolabili istigati dalla mia modesta persona. E' più consigliabile, per Naldini, accettare una drastica divergenza di opinione non conciliabile, scientificamente, con la sua. 4) Che io sappia, non mi sono mai sposata. Escludo quindi di essere, per di più, vedova. Termine infatti offensivo - così come viene enunciato - e lesivo del mio buon nome e del nome di Pier Paolo Pasolini stesso. Laura Betti, Roma I gay vogliono la casa e anche il matrimonio Quanta confusione sulla questione delle case popolari alle coppie omosessuali! Il terzo paragrafo della delibera Cipe 19-11-81 che stabilisce i criteri per l'assegnazione delle case parla esplicitamente sia di conviventi more uxorio sia di altre persone conviventi senza alcun legame di parentela con il capo o la capo famiglia: è il riconoscimento delle convivenze di fatto più esplicito che si potesse attendere. Di tutte le convivenze, anche quelle omosessuali. E come se non bastasse, il nuovo regolamento anagrafico approvato con Dpr 305-89 n. 223 nel definire il nucleo familiare parla esplicitamente di «vincoli affettivi» distinguendoli dai vincoli matrimoniali o di parentela. Niente questioni di isola felice, quindi, ma una normativa nazionale fatta senza mirare esplicitamente alla salvaguardia dei diritti delle coppie omosessuali ma a tutte le situazioni di convivenza. Non bisogna, però, fare come gli struzzi e credere che alcune norme di settore come quelle indicate risolvano il problema vero. Che è quello del riconoscimento giuridico della convivenza fra persone dello stesso sesso. Anche qui si è fatta molta confusione: la questione è prima di tutto culturale e sociale, poi giuridi¬ ca. Né la Costituzione né la legge ordinaria stabiliscono esplicitamente che il matrimonio si possa stipulare fra persone di sesso opposto: questa è una di quelle cose che rientra nel diritto comune non scritto. Il quale per sua natura è soggetto alle variazioni culturali e sociali degli Stati. Noi sosteniamo che le consuetudini e il senso morale della gente si siano evoluti in modo tale che nulla osti a riconoscere il buon diritto delle coppie omosessuali a contrarre matrimonio. Sì, a contrarre matrimonio, non di accontentarsi di quel surrogato impossibile da definire giuridicamente e inaccettabile sul piano dei prin¬ cipi che si chiama convivenza. Perché delle due l'una: o si entra in conflitto aperto con le strutture giuridico-sociali della cosiddetta società eterosessuale, e per coerenza si rifiuta ogni riconoscimento, anche parziale perché in quanto tale è solo scimmiottamento di quello totale. Oppure si pratica il diritto all'uguaglianza fino in fondo e si ha il coraggio di chiedere l'allargamento del matrimonio civile anche agli omosessuali. Il riconoscimento delle convivenze di fatto, eterosessuali od omosessuali che siano, è tutt'altra questione. Quello che ci preoccupa, invece, è ben altro. Il tono delle polemiche lette in questi giorni contro gli omosessuali, oltre che essere pre-elettorale, è anche pre-crociata. Non si tratta solo di rigurgiti sessuofobi della vecchia generazione: i sintomi del rinascere di vecchi razzismi ci sono tutti. In questo senso la storia ci lancia un avvertimento molto preciso: ogniqualvolta cresce l'antisemitismo o i conflitti etnici o il razzismo in generale gli omosessuali sono vittime predilette. Non vorremmo che le invettive di prelati e uomini politici di questi giorni siano, magari inconsapevolmente, istigazione a delinquere e incitamento all'odio. Per queste cose basta poco, anche solo qualche dichiarazione sui giornali. Enzo Cucco Informagay, Torino Il governo contro le piccole imprese Leggendo l'articolo «E nessuno pensa all'economia» del 23 gennaio il cui autore, saggio interprete della realtà, è Mario Deaglio, vorrei porre tre domande. Quanto ha inciso la politica del governo a colpire duramente le piccole imprese e a inibirne le capacità di reazione? Come può «questa classe politica» individuare una «visio- ne», una strada per uscirne? O non ci resta che sperare nella venuta naturale di una nuova classe politica che con l'arma del rinnovamento prende il potere? Jacopo del Vero, Roma lo, direttore d'orchestra con mano «incerta» Sono il direttore d'orchestra Marcello Rota e scrivo in merito alla critica di Luigi Rossi su Coppella di Délibes al Teatro Valli di Reggio Emilia, apparsa su La Stampa il 25 gennaio scorso. Mi riferisco ad alcune particolarità tecnico-musicali sfuggite, certamente in buona fede, al dottor Rossi. Nel lungo articolo egli si sofferma intatti su alcune «manipolazioni» (ossia un inserto musicale di 12 minuti ove compaiono mambo, tango e cha-cha-cha) che sarebbero state da me dirette «con mano incerta». Vi è però un piccolo dettaglio: i suddetti inserti (le manipolazioni su cui insiste il critico) sono incisi su nastro sicché in quel momento direttore è orchestra, pur presenziando in sala, aspettano che i ballerini svolgano la loro performance accompagnati dal registratore. Pertanto, stando così le cose, la «mano» del direttore non potrebbe essere che «incerta»! Invito dunque il dottor Rossi, di cui rispetto l'opinione e che comunque è libero di esprimere i propri giudizi, a rivedere lo spettacolo per verificare di persona quanto detto sopra. Marcello Rota Incisa S. (Asti) Mi scuso col maestro Rota di avere dato l'impressione che le «manipolazioni» di Délibes fossero da attribuire a lui. In quanto alle «incertezze» di direzione, mi riprometto di riascoltare il balletto per eventualmente ricredermi. [1. r.]

Luoghi citati: Asti, Reggio Emilia, Roma, Torino