Piccola guerra mondiale tra America e Giappone

Piccola guerra mondiale tra America e Giappone Dopo l'ennesima lezione di Tokyo sale l'odio per i «gialli» Piccola guerra mondiale tra America e Giappone WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Sono stato frainteso». Ma le scuse di ieri da parte di Kiichi Miyazawa, il premier giapponese che aveva criticato gli Usa per «mancanza di etica del lavoro», non sono servite a molto. Gli americani nutrono nei confronti dei giapponesi sentimenti sempre più simili a quelli del dopoPearl Harbour. E perfino il Ku Klux Klan è tornato alla ribalta abbandonando il suo tradizionale bersaglio, i neri, e bruciando una croce alta due metri di fronte a un ristorante di Los Angeles ritenuto erroneamente giapponese. Il «Japan Bashing», il «dagli addosso al giapponese» è diventato una specie di movimento popolare. «Non avevo assolutamente alcuna intenzione di criticare i lavoratori americani», ha detto Miyazawa ieri di fronte alla stessa commissione del Parlamento alla quale, due giorni fa, aveva reso la sua discussa dichiarazione. «Erano considerazioni volte a spiegare la mia filosofia, che sottolinea l'importanza di produrre beni con il sudore della fronte». «Erano riflessioni sull'economia del nostro Paese», ha aggiunto senza convincere molto. Certo Miyazawa non si è mai spinto fino dove era giunto un mese fa il presidente della Camera bassa del Giappone, Yoshio Sakurauchi, il quale aveva accusato gli operai americani di «ignoranza e pigrizia». Ma, aggiungendo al suo rilievo sulla mancanza di «etica del lavoro» negli Stati Uniti una riflessione critica sulla tendenza dei giovani universitari americani a sognare Wall Street piuttosto che studiare ingegneria, Miyazawa ha gettato benzina su un fuoco che bruciava già forte. Non è certo bastato a spegnerlo una reazione particolarmente misurata della Casa Bianca, che, attraverso il portavoce Marlin Fitzwater, si era limitata a puntualizzare che «l'etica del lavoro degli americani è semplicemente leggendaria». Bush, che predica la filosofia liberista del mer¬ cato aperto, sostenuta da una politica anti-isolazionista, ha tutto da rimetterci dall'esplosione di odi autarchici e ritorsioni protezionistiche. Queste sono le bandiere dei suoi oppositori, sia sulla destra, il repubblicano Pat Buchanan, sia sulla sinistra, la maggioranza dei democratici. Ma, ormai, negli Usa, il «Japan Bashing» è diventato sentimento comune. Bush stesso lo ha alimentato con le sue critiche al protezionismo giapponese, avallando la convinzione che sulla recessione americana ci sia l'etichetta «made in Japan». E così, in molte parti del Paese, i nippo-americani vengono di nuovo etichettati con l'epiteto di «dirty japs» (sporchi giapponesi) come quando, dopo Pearl Harbour, molti di loro vennero perseguitati e rinchiusi senza colpa in campi di concentramento. E pensare che, proprio riguardo a questo triste episodio, Bush aveva fatto le scuse al Giappone durante le celebrazioni per l'anniversario di Pearl Harbour. Un concessionario d'auto di Latrobe, Pennsylvania, ha avuto un'idea: basta pagare un dollaro e si può prendere a martellate una vettura giapponese. La gente fa la coda e si diverte. Sul «New York Times» è uscita una poesia satirica: «Be a man, Blame Japan», sii uomo, biasima il Giappone. Per tutte le cose che non vanno, dice, sai con chi prendertela. Così fa «un vero americano». E' un sarcasmo diretto a un bersaglio sempre più grosso. Tutto questo è ridicolo se si pensa che, ormai, molti prodotti giapponesi vengono realizzati negli Usa, mentre gran parte dei prodotti americani vengono fabbricati in Asia. Inoltre, dati alla mano, la produttività americana resta quasi doppia di quella giapponese. Perché prendersela? Basterebbe una scrollata di spalle. Ma l'America non accetta lo smacco della crescita giapponese e Tokyo non ha seppellito vecchi rancori. Per cui, tra i due, continua una privata terza guerra mondiale. Paolo Passarmi

Persone citate: Bush, Kiichi Miyazawa, Marlin Fitzwater, Miyazawa, Pat Buchanan, Yoshio Sakurauchi