Castro, scuole e ospedali ma al prezzo della libertà di Mimmo Candito

Castro, scuole e ospedali ma al prezzo della libertà Il socialismo tropicale dopo la morte di Betancourt Castro, scuole e ospedali ma al prezzo della libertà NDIGNAZIONE e silenzi hanno seguito in questi giorni la fucilazione all'Avana di Eduardo Diaz Betancourt, l'esule cubano rientrato nell'isola per lanciare la guerriglia contro il regime castrista. L'indignazione per la morte inflitta a un oppositore politico, per quanto armato, è stata di tutti; la stessa Rifondazione Comunista, che aveva promosso la colletta per Cuba, ne ha dato conferma pubblica per voce di Libertini. Ma spiegazioni diverse sono state date per i troppi silenzi: la caduta di una tensione etica nella politica; la sopravvivenza di un conformismo di sinistra; la difficoltà a superare la logica degli schieramenti ideologici. Per più di una generazione, illusa o generosa o tentata da troppe inquietudini per non lasciarsi prendere dalla scorciatoia dei miti, il «Che», la rivoluzione cubana, i barbudos di Fidei, sono stati compagni credibili di una comune interpretazione del mondo; oggi che il mondo si mostra diverso, che le interpretazioni sono meno facili e sicure, quei compagni credibili di un tempo finito non sono stati trascinati interamente via con le rovine di un muro. All'Avana, a differenza di Mosca e dei Paesi comunisti dell'Est, dopo gli anni insanguinati della vittoria su Batista, celebrata con i verdetti capitali dei tribunali rivoluzionari, con la galera per gli oppositori, con la fuga in massa verso gli Usa, il regime di Castro si era retto su un diffuso consenso sociale; e anche nella caduta inevitabile della tensione rivoluzionaria era sopravvissuta una partecipazione reale della gente al progetto di una difficile uscita dal sottosviluppo. La rottura tra società e regime è storia recente, trascinata dalla perestrojka e consolidata dalla carestia di un Paese senza più risorse né pane. Chi ha viaggiato nei Paesi della fame vera e della miseria senza speranza, nel Terzo Mondo e in America Latina, arrivato a Cuba trovava una realtà profondamente diversa, che non poteva essere soltanto il prodotto mistificato di una propaganda di regime. Il ministro De Lorenzo ha appena riconosciuto la qualità e l'efficienza del servizio sanitario cubano: se n'è fatto un gran clamore, eppure sono 20 anni che i reportage dall'isola lo raccontano; come raccontano anche di una speranza di vita (74 anni) di livello europeo, dell'università per tutti, della mortalità infantile più bassa di quella italiana (26 per mille), di una ricerca scientifica di grado statunitense, degli ospedali che funzionano e curano davvero. Questo sistema «socialdemocratico» di sicurezza sociale aveva però un costo ideologico «comunista»: il nascente dissenso non era tollerato, la critica diventava una pericolosa attività controrivoluzionaria. Si diceva che questo era il prodotto delle circostanze: il nemico yanqui stringeva l'isola nell'embargo commerciale, e aveva invaso Santo Domingo, rovesciato Allende, chiuso i porti di Managua, era sbarcato a Grenada, aveva occupato Panama. Sotto questa minaccia a sole 90 miglia dall'Avana ogni critica poteva solo fare il gioco dell'avversario. Come in guerra. Ma le contraddizioni diventavano insostenibili, perché il risultato di questo dovere obbligato di militanza nazionalista e di conformismo ideologico era che i Comité rivoluzionari creati in tutti i fabbricati si trasformavano in organi permanenti di controllo su ogni momento della vita privata; solo i ragazzi iscritti alla Joventud Comunista potevano aspirare a una Facoltà universitaria scelta liberamente e non imposta d'ufficio; solo i partecipanti attivi alle cellule e alla finzione del lavoro «volontario» potevano sperare di guadagnarsi la graduatoria per comprarsi un frigorifero o addirittura un'auto. Le garanzie del sistema, inoltre, non erano un diritto di tutti ma piuttosto la misura dell'adesione fedele e acritica alle scelte del governo. Ci diceva qualche settimana fa all'Avana lo scrittore Lisandro Otero: «L'errore della Rivoluzione fu di consegnarsi al socialismo, che burocratizzò il vitalismo originario del nostro spirito nazionale». Queste contraddizioni mostravano che il sistema non era ancora totalmen¬ te ingessato. La formula del socialismo tropicale rappresentava una realtà più complessa di quella fissata nel socialismo reale. Era più credibile, almeno, nei suoi successi in un Paese povero, anche se si allentava progressivamente l'identificazione tra società e rivoluzione. La fuga collettiva da Mariel era stata il primo vero segnale di un'inversione di tendenza, e non solo per i centomila che scappavano, ma anche per il tipo di reazioni che quell'esodo provocava in chi restava nell'isola. Paradossalmente il castrismo deve constatare il proprio fallimento quando non riesce a corrispondere alle aspettative che esso stesso ha creato: con la scolarità diffusa e le garanzie del sistema sociale si è ormai formata una generazione di cubani che non guarda più alla miseria cronica dell'America del Sud ma vuole confrontarsi con il modello dell'America del Nord. E la rivoluzione che si ingessa le sta stretta. Forse alcuni dei troppi silenzi che hanno accompagnato la fucilazione di Betancourt facevano parte di questa complessità del caso cubano. L'infamia di quella fucilazione non può avere motivazioni accettabili. Ma Castro, un Castro sempre più vecchio e sempre più grigio, che va a subire il giudizio del mondo sullo scanno degli imputati colpevoli, porta inevitabilmente con sé, su quel banco, anche tutti i bimbi che non muoiono più alla nascita, gli ospedali che curano davvero, l'università aperta a tutti, i medici di famiglia e di quartiere, i vecchi che campano ancora anche in un Paese povero. E il giudizio si fa tormentato. Cuba è il solo Paese del Terzo Mondo dove ancora esistono i vecchi. Chi viaggia nelle terre del sottosviluppo, a qualsiasi latitudine, non incontra mai un vecchio: lì si muore a 40 anni o a 50 anni, e a quell'età si è già consumati dalla vita, si è spenti, finiti ormai; ma non a Cuba, dove le rughe fonde e i capelli bianchi sono ancora una parte piena del panorama sociale, e i vecchi hanno un ruolo autentico e una funzione pienamente integrati nella vita quotidiana. Castro non è Saddam e nemmeno Assad, che pure ha avuto la stretta di mano di Bush. Dietro ai silenzi che hanno accompagnato la fucilazione di Betancourt forse c'era anche l'angoscia di chi non accetta di dover scegliere tra la condanna di Castro e un embargo che soffoca le ultime resistenze dell'isola. Le ragioni della politica a volte cercano anche le ragioni dell'etica; ma la difesa irrinunciabile del diritto alla libertà di pensiero non può non accompagnarsi anche alla difesa della dignità della persona, del suo diritto a un lavoro e a una retribuzione equa, della sua speranza di una società giusta. Ci diceva tempo fa all'Avana Elisardo Sànchez, uno dei leader della dissidenza appena uscito da un altro breve sog- fiorno in galera: «Dovete camiare, l'Europa deve saper costringere gli Usa a uscire dalla logica degù schieramenti ideolo gici. Bisogna allentare l'embargo. Ora bisogna costruire, non più distruggere. Fin che si è in tempo». Diaz Betancourt non è più in tempo. Dietro i silenzi colpevoli che accompagnavano la sua morte c'era forse anche l'orrore di chi vede che si stanno compiendo le scelte politiche dell'inevitabile. Il Nuovo Ordine dovrebbe però saper sfuggire alla semplificazione, e accettare la complessità del reale. Mimmo Candito Irteli Fide) Castro e Eduardo Diaz Betancourt, l'esule rientrato a Cuba e giustiziato. Nella foto grande, un'immagine dell'Avana CAMPA6tiA €\£noRAl£ e POUllA- - e p&Dkt M/gee sn DI BUTTAI VIA QPOlMeZAGlS?