Borsalino, dalla testa di Delon ai sarti di Tokyo

Borsalino, dalla testa di Delon ai sarti di Tokyo Pancho Villa, Al Capone, Krusciov: il copricapo alessandrino ha girato il mondo Borsalino, dalla testa di Delon ai sarti di Tokyo Presto abiti giapponesi firmati con il marchio del celebre cappello li N primo «testimonial» d'eccezione, a Tokyo, la Borsalino l'aveva trovato agli inizi del secolo, quando Hiro Hito, l'im¬ peratore del Sol Levante, aveva scelto per sé, nello sconfinato campionario del cappellificio di Alessandria, la bombetta che avrebbe poi indossato sempre nelle sue uscite pubbliche. Ma comprando quel cappello l'imperatore del Giappone non avrebbe mai immaginato quanto sta accadendo in questi giorni. La Borsalino, l'azienda che da 145 anni produce e vende in tutto il mondo il cappello italiano, sta trasferendo il suo nome e la sua immagine a un colosso industriale giapponese che li userà per lanciare in grande stile una linea completa di abbigliamento, sia maschile sia femminile: non solo cappelli, insomma - anzi, niente cappelli -, ma abiti, soprabiti, camicie, forse maglieria, forse accessori. Tutto quanto gli esperti di moda definiscono «total look», abbigliamento globale. Un pezzo di storia del costume italiano si tingerà di giallo. Non emigrerà del tutto, questo no: i cappelli Borsalino resteranno in mani italiane, continueranno a essere prodotti ad Alessandria e conserveranno il loro carattere di prodotto esclusivo, prodotto-simbolo, che hanno costruito in 140 anni di tradizione. Ma il nome, quello sì, emigrerà a Tokyo sulle ali di molti, convincentissimi yen. «Non vendiamo l'azienda, sia chiaro - si premura di spiegare Viviana Lecchi, da due anni presidente della Giuseppe Bor¬ salino spa -. Stiamo contrattando con un gruppo giapponese una cessione di licenza; insomma, il marchio è mitico, come soltanto da pochissimo tempo ci viene riconosciuto. E' un peccato non valorizzarlo, ma per farlo ci vogliono forti capitali; abbiamo trovato chi li investirà; l'abbiamo trovato all'estero, perché non aveva senso cercarlo soltanto in Italia». Molto presto, dunque, avremo giacche Borsalino, pantaloni Borsalino, soprabiti Borsalino targati Tokyo. Ma non è un rischio annacquare così l'immagine di una griffe tanto specializzata? «Riuscire a sviluppare il marchio è un bene per l'azienda - replica sicura Viviana Lecchi -. Oltretutto, col ri¬ cavato della cessione di licenza ^potremo ulteriormente sostenere il rilancio del nostro prodotto-simbolo, il cappello». Borsalino è in tutto il mondo il copricapo per antonomasia, un altro modo di dire «cappello». Nel '70 è'diventato il titolo di un film di successo, una gangster-story interpretata da Alain Delon che ne ha dilatato il mito presso il grande pubblico. Ma nella sua lunga storia sono tanti i crani celebri che lo hanno indossato, da Pancho Villa a Al Capone, da Reza Palliavi a Nikita Krusciov, da Federico Fellini a Robert Redford. Ma non di solo cappello si veste l'uomo, e i Borsalino dovettero impararlo a proprie spese negli Anni Trenta, quando la società rasentò il fallimento, coinvolgendo una ventina di agenti di cambio torinesi (all'epoca era quotata in Borsa), per poi riprendersi e declinare ancora negli Anni Cinquanta, allorché il «giovanilismo» spazzò via i cappelli dalle teste del pubblico occidentale, soprattutto di quello più ricco, cioè l'unico in grado di comprarsi lo «status symbol» Borsalino. Nei primi Anni Ottanta, l'altra «mazzata» della crisi: lo stabilimento «storico» di Alessandria, in via Cento Cannoni, venne abbandonato, oggi ospita aule universitarie; nella sede originaria restò il museo del cappello, ma la produzione venne trasferita in periferia. Oggi a Viviana Lecchi e ad altri azionisti suoi amici fa capo un'azienda sana, ma piccola: 60 dipendenti e 13 miliardi di fatturato. Quarantanni fa i dipendenti erano tremila. Di immutato c'è soltanto la leggenda del marchio; ma forse a coloro che ancora lavorano in azienda conviene che il mito perda un po' di sacralità in cambio d'una iniezione di capitali freschi. A tal fine, ben vengano anche i giapponesi: poco importa se la griffe si annacqua un po'. In fondo, proprio a Tokyo, da dieci anni il nome Borsalino campeggia già sull'insegna di un pubblico esercizio: un ristorante del centro, alla moda. Cucina italiana, naturalmente, Sergio Luciano Un'immagine della fabbrica di Alessandria, dove nascono i cappelli italiani più famosi del mondo. Nel 70 «Borsalino» è diventato il titolo di un film di successo, una gangster-story interpretata da Alain Delon.