La Gioconda batte Marilyn

La Gioconda batte Marilyn La nostra è davvero la civiltà dell'immagine? No, dice uno studioso: e si accende il dibattito La Gioconda batte Marilyn EE Roy Ladurie sintetizza (ambiguamente): «La Storia galoppa grazie alla tv». Nel suo nuovo film Fino alla fine del mondo, Wim Wenders finge di celebrare, in un delirio di forme e colori, il minaccioso trionfo dell'universo elettronico. In Mille di questi anni, Omar Calabrese annuncia l'arrivo non lontano della tv interattiva, quando chiunque, grazie a una sorta di telecomando, potrà modificare, sul video di casa, fatti, cose e persone. «Se io faccio da solo tutte le variazioni possibili della Gioconda - si chiede Calabrese - che cosa rimane sia di Leonardo (il "genio unico"), sia di Duchamp (il "dissacratore unico")? Moriranno i capolavori e muore l'avanguardia, muore l'idealismo ma anche la trasgressione. Si instaura la sola Età del Gioco...»: dell'artista che spedisce la sua opera attraverso il sistema telefonico; del filosofo, del sacerdote o del mago che traducono in segni e in movimento i segreti del cuore. Il villaggio globale sembra consolidata Davvero? Wenders, per esempio, negli ultimi minuti del suo apologo cinematografico, ribalta tutto: a salvarci dalla catastrofe nel 2001 non sarà l'immagine che rende ciechi, ma la parola. La macchina per scrivere vincerà contro il sintetizzatore. Riumanizziamoci, anzi riavviciniamoci agli dei, dice il regista tedesco con qualche rischio, riprendiamo la creazione, diamo via libera al sopito pensiero forte. Umberto Eco, naturalmente, va più in là fingendo un consiglio banale: nel suo Secondo diario minimo suggerisce «...tenete il telefax sconnesso». Che succede? La civiltà dell'immagine deve morire, oppure è morta o non è mai esistita? Domande oggi seriamente proponibili soltanto dall'Ippoliti di C'era una volta Fluff che potrà anche facilmente chiedere ai suoi interlocutori signor Clemente o geometra Costantino: «L'immagine, secondo voi, è di destra o di sinistra?», mentre Chiambretti potrebbe girare il quesito a Occhetto e a Forlani. Ma pure questo fa parte del quadro. La satira, l'ironia, l'attuale blandissima destabilizzazione operata dai comici, che tipo di spettacolo offrono, entro i loro limiti? Sarà destinato più all'occhio o più all'orecchio? Per gli studiosi del costume è materia di un dibattito in corso. Con argomenti conflittuali. Ultime nel tempo e sufficienti per far accendere qualche polvere, le «picconate» di Rosario Assun¬ to nel numero speciale per i dieci anni della rivista Mass Media: trattando ((Argomenti contro un luogo comune» il professore emerito di Storia della filosofia all'Università di Roma si chiede: «E se il nostro secolo fosse un instancabile distruttore delle immagini che esso stesso giornalmente produce con una copiosità da stancare il più attento degli osservatori e rendere amnesico anche chi abbia una memoria di ferro?». Come sostegno della propria tesi, il filosofo ritiene indispensabile il riferimento a quella che chiama la dialettica fra «iconismo» e «aniconismo» (cioè tra presenza o assenza dell'immagine) che accompagna la storia di tutte le religioni monoteiste. Di¬ mostrato rapidamente • come neppure l'Islam e il calvinismo olandese, ostili a ogni illustrazione del sacro, siano state civiltà senza immagini, Assunto ritiene che «la sola, autentica civiltà senza immagine (e dunque senza memoria per eccesso di iconismo puramente strumentale) è la nostra di oggi: nella quale le immagini dell'effimero sono effimere a loro volta, fiere del proprio essere "finite" e caduche». Oggi sarebbe insensato cercare con Dante, in qual modo questa imago «finita» possa entrare nella circolarità dell'infinito. «Ma fra qualche anno - aggiunge dolorosamente Assunto -, la cosiddetta civiltà di immagine ci avrà disawezzati dal leggere e dall'intendere Dante». Questa presa di posizione divide i mass mediologi ma trova più d'un seguace. Ecco la sorpresa. Dov'è oggi, si chiedono i critici più aspri del nostro tempo, un'immagine da eguagliare quelle che hanno accompagnato sinora la storia degli uomini, l'Apollo del Belvedere e la Madonna della Seggiola, il Partenone e la Gioconda, Guernica e l'Urlo di Munch? Quanto potranno resistere i segni di Hartung, la Marilyn di Warhol, i fumetti di Lichtenstein? Gillo Dorfles, il decano dei semiologi, ritiene che proprio la nostra creazione di immagini sia diminuita. «Si esagera dicendo che la nostra è una civiltà delle immagini, si potrebbe anche dire che è la civiltà della scrittura. Piuttosto è la civiltà del riflesso delle immagini. Il pericolo è che l'eccesso di immagine fittizia (tv, cinema) finisca per cancellare la nostra capacità creativa. Bisogna ritornare a scrivere e a produrre artisticamente. I bambini soprattutto sono a rischio, è necessario e urgente un buon insegnamento artistico sin dalle scuole elementari». E il futuro? «Talmente imprevedibile, ma io credo nella persistenza delle arti tradizionali e sono certo che il libro non sarà ridotto a microfilm, continuerà a vivere anche come oggetto del desiderio. Sono altrettanto sicuro che non esistono immagini effimere, il messaggio subliminale resta». Chi proprio non crede che la nostra sia una civiltà di immagini è Emilio Garroni, docente alla Sapienza {Estetica. Uno sguardo attraverso è il suo ultimo libro, appena uscito da Garzanti). «E' vero il contrario. Le immagini avevano un impatto formidabile prima dell'avvento della fotografìa, del cinema, della tv. Non dico che una pala d'altare facesse sempre "borgo allegri", come si racconta di Duccio quando presentò la sua Maestà ai senesi, ma era certo un avvenimento visivo importante per la comunità. Oggi invece le immagini sono semplicemente l'ambiente paesistico, per così dire, nel quale ci muoviamo. Talmente frequenti che passano inosservate. Piaccia o no, è sicuro che esse non si so¬ no sostituite al linguaggio verbale e che non gli hanno nuociuto. Oggi un enorme numero di persone, non più una classe ristretta, parla meglio, con un linguaggio più ricco e legge di più». Secondo Garroni la diffusione delle immagini non è responsabile della fine delle immagini. «Certo è un fenomeno di usura. Però il decadimento dell'immagine comincia molto prima della sua riproduzione in serie. Probabilmente è proprio il libro il "colpevole" maggiore». Non si parte forse troppo da lontano per constatare una morte che per ora non c'è, o almeno non appare? L'immagine spadroneggia, insegue. Nelle case europee sta arrivando il videotelefono, la tv aggredisce 24 ore su 24, anche nella tragica «ora del lupo» possiamo assistere a una soap opera o a un film di Totò, all'ora di cena possiamo vedere un'esecuzione capitale. Il ritorno della parola non sarà una grande illusione? Alberto Abruzzese nega che gli uomini di oggi siano di fronte a un «annullamento per eccesso» delle immagini, a ima cancellazione, ma non respinge l'idea che l'attuale civiltà si awii a essére una civiltà della parola. «E' necessario però riconoscere - spiega - che nella moltiplicazione stessa dell'immagine attraverso la tv, il sistema sta già dando una risposta. Grazie al computer si può mettere ordine in un caos di immagini che rischiano di non essere più memorizzabili; tutta la civiltà elettronica è fatta per venire in soccorso a un mondo in cui l'accelerazione dei rapporti sociali è sempre più veloce». In un tal contesto quale può essere il nuovo ruolo della tv? «La tv non è più il luogo assoluto, la chiesa riempita soltanto dalla presenza di Dio. Si sta segmentando, la sua dimensione totalitaria è in crisi e anche la sua funzione religiosa si viene indebolendo». Al momento il vero conflitto sembra essere tra estetica e sociologia. «Sarebbe assurdo - continua lo studioso - pensare che la velocità dei tempi consenta la nascita di opere eterne. Oggi i fenomeni simbolici hanno la caratteristica deU'effimero. Questo non esclude il potere della parola, secondo me mai del tutto perduto. Tra parola e immagine, nel passaggio dal teatro alla fotografìa, al cinema, alla tv, la miscela è stata sempre continua. Se andiamo a rileggere la letteratura critica del cinema scopriamo che molte delle' qualità che i primi teorici individuavano nell'immagine cinematografica non erano tanto attribuibili all'immagine quanto alla parola». «Ma anche la tv è parola - interviene la creatura elettronica per eccellenza, Renzo Arbore, che sta preparando per l'autunno di Raiuno una sua storia della televisione -. Se la radio è stata la mia grande arma per partire alla conquista del pubblico, anche la mia tv è stata "di parola". Parola talvolta contraffatta, piegata al servizio di un'idea o di una situazione come si è fatto in Alto gradimento e in Quelli della notte, forse un po' meno con Indietro tutta. Io non sono un Nichetti, tutto calato nell'immagine, io semmai sono calato nella musica. Ma la musica non è forma più alta di parola? E' stata la musica la vera parola degli ultimi decenni, parola unificante. Abbiamo cantato insieme, gente di tutti i Paesi del mondo, un fenomeno come non si era mai visto sinora. Sono sicuro che molta della nostra storia verrà raccontata in futuro più dalla parolamusica che dalle immagini». Come si vede, il catastrofismo di fine millennio non ha contagiato tutti. «Stiamo per morire o stiamo per nascere?» si chiede Carlos Fuentes in Terra nostra. Conclude Abruzzese: «Forse ha ragione Benjamin, forse stanno per tornare le "ceneri" da cui nascono le opere». E forse noi stiamo per rinascere: ricordiamoci comunque di staccare il fax, di tanto in tanto. Mirella Appio tri ti celebre ritratto di Marilyn Monroe eseguito nel '67 da Andy Warhol e la Gioconda di Leonardo. A fianco, Renzo Arbore; sotto, Gianni Ippoliti; in alto, Piero Chiambretti; in basso, Gillo Dorfles Dove sono oggi le rappresentazioni che eguaglino quelle del passato?

Luoghi citati: Guernica, Raiuno