Togliatti nel '48 sull'Urss «Non c'entra con i massacri» di Cesare Martinetti
Togliatti nel '48 sull'Urss «Non c'entra con i massacri» DOCUMENTO Togliatti nel '48 sull'Urss «Non c'entra con i massacri» • ■ O un unico figlio, dato per Bfl morto» scrive all'On. Palli li m miro Togliatti, Camera dei deputati, Montecitorio, il signor Alessandro Malerba, gioielliere, piazza San Babila, Milano, per chiedergli di tornare in Russia, dove «siete di casa» per esperire tutte quelle pratiche che nessuno «meglio di Voi può fare». Per sapere, in altre parole, se quel suo unico figlio è vivo, morto, sepolto, dove, se può tornare, se gli si può fare un funerale. «Egregio signore», gli risponde Togliatti l'I 1 giugno 1948, a brevissimo giro di posta, «il tono della sua lettera mi fa supporre in Lei la buona fede. Mi rincresce però che questa non Le abbia impedito di cadere vittima di una indegna speculazione, ordita, sul sentimento di tanti italiani sia dal governo che dal partito democristiano...» La carta intestata è quella del Gruppo Comunista alla Camera dei deputati; la calligrafia, senza la possibilità di dubbi, quella del segretario comunista, fitta, leggermente inclinata, molto chiara, sicura, due cancellature a penna e tre parole dimenticate inserite nel testo da una grande «s» cori- cata, proprio come nella lettera da Mosca sugli alpini che ha riaperto il Caso Togliatti. Il signor Malerba, classe 1888, è morto nel 1954 e non può raccontarci come legge e cosa prova di fronte all'inedito togliattiano; ma quella lettera di risposta del segretario comunista (che riassumiamo qui accanto e che già fu resa nota da Oggi nel '48) letta accanto a quella spuntata dall'archivio di Mosca e pubblicata da «Panorama», ce ne dà una chiave di lettura, come se l'autenticasse, come se fosse lo sviluppo coerente, lo svolgimento del proposito annunciato cinque anni prima da Togliatti al compagno Vincenzo Bianco: usare politicamente la disfatta italiana, guadagnare consensi dai lutti famigliari. Scriveva da Mosca il Migliore a Bianco nel 1943: «Il fatto che per migliaia e migliaia di famiglie la guerra di Mussolini e soprattutto la spedizione contro la Russia si concludano con una tragedia, con un lutto personale, è il migliore e più efficace degli antidoti. Quanto più largamente penetrerà nel popolo la convinzione che aggressione e il destino individualmente preso di tante famiglie è tragico tanto meglio sarà per l'avvenire d'Italia». Cinque anni dopo, dal suo ufficio di Montecitorio, Palmiro Togliatti sceglieva di rispondere personalmente, a mano, al signor Malerba. Erano anni di guerra fredda, la de aveva appena stravinto le prime elezioni politiche della nuova Repubblica italiana, l'impero sovietico appariva sempre di più un regno del male che nei suoi gironi aveva inghiottito anche vita, storie, destini di migliaia di soldati italiani, senza restituirne nemmeno una data, un nome, un frammento di identità. La polemica è durissima da parte dei cattolici e vi partecipa anche il generale Messe, uno dei condottieri dell'Armir: «Quando Togliatti - ha scritto in quei giorni Messe sul Tempo - parlava da Radio Mosca nel marzo '43, asseriva che erano caduti in mano dei sovietici 115 mila italiani, di cui 69 mila feriti. Dove sono andati a finire?» E Togliatti risponde attaccando. Il governo sovietico, scrive, ha dato alle autorità anglo-americane la lista numerica dei sopravvissuti: se in Italia non si conosce ancora, la colpa è del governo italiano. In ogni caso è assurdo pensare all'esistenza di sopravvissuti, perché «l'equipaggiamento di quei poveri ufficiali e soldati italiani non consentiva la sopravvivenza». Ma il «vero delitto» che si stava consumando con quella polemica, aggiunge Togliatti, è un altro: «I responsabili diretti del massacro di quei giovani (Messe e gli altri, non esclusi i vescovi e i dirigenti di Azione Cattolica che benedissero la spedizione criminale contro la Russia) si servono dal male commesso per seminare odio e discordia tra popoli e nel nostro popolo». E subito dopo la sua «opinione», oggettiva e spassionata: alle autorità sovietiche nulla è da rimproverarsi, nelle condizioni in cui erano, hanno fatto quanto dovevano. Ma Togliatti, in chiusura della sua lettera, carica il signor Malerba anche di un rimorso: «noi» italiani ci troveremmo molto imbarazzati se dovessimo rispondere alle autorità sovietiche del destino dei prigionieri russi fatti dalle truppe italiane. Perché imbarazzati? «Lo sa - scrive Togliatti a Malerba - che non ne è tornato in Russia nemmeno uno? Messe e gli altri generali li consegnavano ai tedeschi che li passavano nei forni. E ora fan campagna in nome della civiltà. Mi scusi lo sfogo». Cesare Martinetti
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