Quando Tenco copiava Bob Dylan

Quando Tenco copiava Bob Dylan Esce un libro che racconta i «Mille papaveri rossi» della canzone politica italiana Quando Tenco copiava Bob Dylan Ma ci sond anche i «fiori neri» dei cantautori di destra w|L «menestrello» ameriI cano Pete Seeger, un I grande della canzone poI litica, sarà in Italia la *1 prossima estate, per la seconda volta dal 1975. Lo ha promesso a Franco Luca, che l'anno scorso è andato apposta in America per invitarlo al VII Folk festival torinese «Giugno in cascina». Sarà una buona occasione per fare il punto e virgola sull'annosa questione del canto politico, che anche recentemente ha visto confrontarsi in poche e nervose battute polemiche un paio di cantautori più o meno «pentiti», il sottoscritto compreso. A facilitare la ripresa di quel discorso è arrivato in libreria un grosso volume «ecumenico» di Giuseppe De Grassi, già redattore dell'ovanti.' e ora caposervizio spettacoli di Quigiovani. S'intitola - da un verso della Guerra di Piero di Fabrizio De André - Mille papaveri rossi, e ci ricorda fra l'altro che la traduzione (in gergo, la cover) italiana di una delle più intense canzoni di Seeger, Where are the flowers gone, fu opera nel 1966 di Tony Cucchiaia. Con l'ambizione di delineare una piccola Storia d'Italia attraverso la canzone politica (Thema editore, Bologna/Torino), il libro di De Grassi prende giustamente alla lontana, evocando il bellissimo inno di protesta Su patriota sarda a sos feudatarios scritto nel 1794 da Francesco Mannu contro la tirannia dei «barones» locali, e rilanciato con passione immutata dal cantautore sardo Franco Madau pochi anni or sono. L'Europa era fresca di Rivo¬ luzione francese, e persino i napoletani invocavano maggiore giustizia sociale dal «glorioso San Gennaro»: «Deh tu prega il Padre Eterno / che ci muti un tal governo / che ci dia la libertà...». Ma subito dopo, i sanfedisti rintuzzavano le premature speranze con un inno «a lu papa santu / ch'ha portato li cannoncini / p'ammazzà li giacobini / e voilà et voilà / cauci in culu a li libbertà!». Era la fine della Repubblica partenopea. Mezzo secolo dopo, eccone il risvolto, cantato dai mazziniani della Repubblica romana: «Se il Papa è andato via / buon viaggio e così sia...». La storia documentata dalle nostre canzoni va avanti così, a sbalzi, tra preziosi ripescaggi e qualche svarione, come papa Pacelli che sconfessa il partito popolare di don Sturzo (nel 1922!) o Mussolini ritratto con... re Umberto (pag. 91). E finalmente approda al momento che qui c'interessa: il mondo della musica leggera degli Anni Sessanta, un ricco teatrino di nani e giganti, generose illusioni e furbizie mercantili tra le quali l'autore si aggira divertito e divertente. A tratti rimette a posto certi pretesti, tipo la sanremese Proposta dei Giganti, «presentata ineffabilmente l'anno del suicidio di Tenco (1967)» per ripetere, scimmiottando gli americani, «mettete dei fiori nei vostri cannoni...». De Grassi ci ricorda che la prima versione italiana della ballata Blowin' in the wind di Bob Dylan è dovuta proprio a Luigi Tenco, il quale rese il celebre ritornello con «risposta non c'è / forse chi lo sa / caduta nel vento sarà...». Dello stesso Tenco ci vengono svelati due «segreti» interessanti. La canzone Ciao amore ciao aveva una prima versione, intitolata Li vidi tornare, dedicata all'impresa di Carlo Pisacane e ai suoi «trecento giovani e forti» della spedizione di Sapri: poi si trasformò «in una ballata sull'immigrazione, in un'amara constatazione di un mondo che sta cambiando troppo in fretta». E Tenco «stava lavorando a un disco di rielaborazioni folcloriche» che avrebbe dovuto comprendere Ta-pum (canzone della Grande Guerra) e Bella ciao. Ma la vera «scoperta» di Mille papaveri rossi è rappresentata paradossalmente dai pochi «fiori neri» della raccolta. Sono i cantautori e i gruppi impegnati a destra, come Leo Valeriane, il Gruppo padovano di protesta nazionale, gli Amici del vento, la Compagnia dell'anello (ispirata a Tolkien), Miche Di Fio... Cantano Jan Palach e la Tradizione, i camerati rinchiusi a San Vittore, i «bambolotti rotti» con l'aborto, i «boia chi molla» e sperano in una «nuova Europa», emancipata dal rosso di bandiere ormai smorte. Fra i temi che uniscono le due ali della protesta cantata, De Grassi individua giustamente il «no al nucleare». Poi riporta al «fiuto» dell'industria discografica l'origine di nuovi eroi «per una generazione sempre più senza padri spirituali». E dopo aver aperto il suo libro con un canto sardo lo conclude col gruppo sardo dei Tazenda: forse per semplice amore di simmetria, forse no. Chissà cosa ne direbbe Pete Seeger? Glielo chiederemo quando arriverà a Torino, anche se conosciamo già la risposta. Ha detto infatti al telefono a Franco Luca, del Centro di cultura popolare: solo i Paesi del Terzo mondo hanno ancora bisogno delle nostre canzoni «militanti». Insomma, come diceva, nel 1919, un bellissimo testo di E. A. Mario, «no, le rose rosse no, / non le voglio veder, / non le voglio veder!». Michele L. Straniero Dalle proteste del Settecento alle ballate sessantottine «Mille papaveri rossi» è un verso di Fabrizio De André, nella foto a destra. Accanto: Luigi Tenco. Sopra: Bob Dylan

Luoghi citati: America, Bologna, Europa, Italia, Sapri, Torino