Quanti scandali per un jeans

Quanti scandali per un jeans Coppia esplosiva e azienda rampante alle radici della pubblicità trasgressiva Quanti scandali per un jeans Pivello.: ma mi irrita il «candore» di Toscani s I', quel culo è mio» dice lapidario Oliviero Toscani dalla sua casa nella campagna maremmana, staccandosi per un momento dagli amati cavalli, «apparteneva ad una mia fidanzata, Donna Jordan, una ragazza della Factory di Andy Warhol, l'ho portato io alla Robe di Kappa». Nel pieno della bufera per lo spot Benetton sull'Aids, il fotografo al momento più discusso nel mondo, esorcizza l'amarezza ricordando le sue prime trasgressioni che, negli Anni 70, sconvolsero un'Italia per molti aspetti ancora provinciale, timorosa e incerta sotto il vento sessantottino. Da allora Toscani ne ha combinate moltissime, forse è diventato uno di quei pubblicitari che, secondo il sociologo Fausto Colombo, «sono gli intellettuali della nostra era»; a distanza sempre più ravvicinata e con una carica di provocazione sempre più violenta ha proposto immagini di volta in volta più sconvolgenti: tanto che il cimitero di guerra all'epoca del Golfo, molto lodato dagli studiosi della comunicazione, oggi appare moderatamente aggressivo a confronto con i preservativi «united colore», la suora e il prete che si baciano, il neonato legato al cordone ombelicale sino allo straziante David Kirby morente. «Le altre sei foto della nuova serie Benetton saranno ancora più crude della prima»: il «comunicatore» lo ha ripetuto sul manifesto rispondendo ad un articolo di Repubblica. Ma poiché in tutte le azioni di commando quella che non si può dimenticare è «la prima», quei jeans Jesus tagliati appena sotto glutei «a mandolino» di adolescente sono diventati per lui e per Emanuele Pirella autore della fatidica scritta «chi mi ama mi segua», una specie di oggetto della memoria, anche perché accompagnati, a suo tempo, da polemiche tra i due artisti, per la paternità dell'idea. La querelle, sopita ma forse non completamente estinta, entra insieme a molti altri episodi e piccoli segreti tra mondo industriale e mondo pubblicitario nel racconto-reportage Kappa & altre Robe che Enrico Mannucci, con prefazione di Gian Paolo Ormezzano (editore Lupetti), ha dedicato alla storia dell'ex Maglificio Calzaturificio Torinese, diventato tra i Settanta e gli Ottanta grande sponsor sportivo e voce della moda più giovane. Siamo nel '72. Il posteriore di Donna Jordan nei manuali di pubblicità «è un esempio di campagna che segna una svolta, come Yalta nei libri di storia» ricorda Mannucci. La prima rottura è già avvenuta nel '71 sempre ad opera della esplosiva coppia fotografo-creativo. I due sono incitati, anzi sobillati dal giovane boss dell'azienda, Maurizio Vitale, che ha già battezzato «Jesus» i suoi jeans, sull'onda del grande musical di Lloyd Webber. Però bisognava trovare l'immagine e con l'immagine l'idea. Racconta Pirella: «Mi pare avessimo pensato a una serie con il grembiule da studente, l'abito da nozze, l'uniforme militare e una frase tipo "tutti cercano di metterti in divisa". Ma Toscani, a un certo punto, tirò fuori una foto sua, già usata. A Vitale piacque l'idea di riadoperarla. Poi io scrissi lo slogan: "non avrai altro jeans all'infuori di me". Devo aggiungere che la cosa decisiva ni l'impatto immagine-scritta. Finché non ci misi quelle parole non successe nulla, lo dimostra il fatto che il manifesto era già in circolazione». Veleni, tra artisti? «No, anche nelle le ultime polemiche io mi sono schierato con Oliviero». I muri di un po' tutto il mondo furono tappezzati, allora, dai grandi manifesti con il famoso giovane ombelico e la famosa giovane pancia sui quali si apriva la zip di Jesus e compariva una peluria «difficile dire se di sesso maschile o femminile...». Si scatena un putiferio. E' l'anno del sequestro di Ultimo tango a Parigi, arriva la prima querela per la pubblicità in Italia. Il pretore Salmeri di Palermo denuncia la ditta per vilipendio alla religione, ma l'avvocato Gatti dimostra ai giudici romani che la frase «chi mi ama mi segua» non è tratta dal Vangelo, fu pronunciata da Filippo il Bello per convincere i nobili a seguirlo in guerra. Anche Pasolini era contrario all'uso del nome di Gesù. A New York, quel fondo schiena e quell'ombelico fecero saltare le coronarie al reverendo cattolico Kenneth Jadoff e i grandi magazzini, da Bloomingdale's a Barney, sospesero le vendite di quei jeans o cancellarono addirittura gli ordini. Ma Toscani e Pirella non cambiarono strada, quasi subito uscì il manifesto ispirato a Ultimo tango con i due ragazzi abbracciati e molto vicini al culmine dell'amore, il '75 sarà l'anno della campagna «pane e jeans» dove si vede una ragazza nera accoccolata che addenta una forma di pane. «La scena restava sempre uguale, però cambiavano i soggetti. Toscani, anticipando le campagne Benetton, usò tante razze, nere, bianche, i cinesi...». «Lo "scandalo" - dice Pirella dura da allora. Io sono dalla parte di Toscani anche dopo la foto sul moribondo di Aids. L'unica cosa che mi infastidisce è il suo finto candore, ogni volta lui si scandalizza... Ma Sanna fa bene ad andare forte con Oliviero. La loro è una dichiarazione di principio, una presa di posizione ben netta, indica da che parte stiamo, dalla parte di chi soffre. Un'azienda "può" fare questo. Usare foto scottanti su certi prodotti che sono ideologie, vuol dire schierarsi, è coerente». Una smentita a Baudrillard quando dice: «La pubblicità è un dominio immorale, e sta qui la sua grandezza». Mirella Appuriti Nel 1972 la Robe di Kappa lanciava uno slogan che segnò una svolta nella reclame. Diceva: «Non avrai altro jeans all'infuori di me» LA STAMPA Da sinistra a destra Emanuele Pirella e Oliviero Toscani. Un libro racconta il loro sodalizio e i primi scandali che provocarono un processo e divisero gli intellettuali

Luoghi citati: Italia, New York, Palermo, Parigi, Ultimo, Yalta