Il vate del Black Power «Sogno la Roma del '68» di Furio Colombo

Il vate del Black Power «Sogno la Roma del '68» INTANTO Il vate del Black Power «Sogno la Roma del '68» CNEW YORK ERCHIAMO di fare i conti. Era il 1968, in aprile, in una strada di Newark. Il quartiere bruciava, lui aveva la testa fasciata, con una macchia di sangue, come in una rivoluzione di teatro. Ora è stempiato e si vede la cicatrice. Martin Luther King era stato ucciso il giorno prima, le strade dei quartieri neri erano in rivolta. Lui, allora, ci ha portati dentro la sua casa, illuminata con le candele. Ragazze battevano i tamburi e lui declamava poesie. E' arrivato all'improvviso in casa di un amico. Come chiamarlo, adesso, Amiri Baraka o Leroi Jones? Il nome della «rivoluzione nera» o quello con cui era diventato celebre prima? La conversazione si accende intorno al tavolo (quattro neri, tre bianchi, un poeta, un pittore, gli altri fanno teatro). «Anche adesso leggo poesie e loro suonano i tamburi. Mi diverto. Ma mai come a Roma». Si volta e chiede: «Come si chiamava quel giovane riccio che avrebbe potuto stare in un film, ma sì, quel comunista di Roma?». Rimbalzano vari nomi e lui proclama: «Roma, per me, in quel tempo, era più bella dell'Africa. Mi portavano in un parco, ci saranno stati cinquemila ragazzi, e io leggevo le mie poesie... Non solo io, c'era anche Jackson McLow, lo conosci Jackson McLow, il poeta dei numeri?». Leroi Jones/Amiri Baraka racconta questa storia. Erano a Roma, una sera d'estate e lui e McLow erano stati portati a leggere poesie in un parco pieno di giovani. «Io ho fatto la mia parte, ho declamato i miei versi sulla liberazione del mondo, c'erano grandi applausi. Nero, americano, d'estate, a Roma, con tutti quei comunisti... Mai stato tanto felice... Poi però è toccato a McLow. Lui è un poeta dei numeri. E come li recita bene. Si alza, va al microfono, co¬ mincia: "Trentacinque, ventotto, diciannove, sessanta...". «Va avanti così un minuto, due minuti, cinque minuti. I ragazzi un po' portano pazienza. Poi rumoreggiano, ridono, c'è un gran vociare. Jackson McLow si interrompe indignato, mi dice: "Lo vedi? Non è solo il capitalismo a disprezzare la poesia. La poesia non si può dare in pasto alla follai"». Leroi Jones è tutto grigio, adesso, ma non sembra aver perduto nulla lungo la strada. E' stato celebre e ha attraversato un lungo periodo ignoto. Ha insegnato alla Columbia University e ha perso il posto per qualche complotto di Facoltà. Gente di Hollywood è stata da lui (intorno alla tavola circola il nome di Alan Ladd jr) e gli ha detto: «Ci scriva un bel copione sugli anni della "rivoluzione". Voi neri contro noi bianchi, e alla fine finisce che facciamo la pace e viviamo insieme...». Jones/Baraka batte forte la mano sulla tavola. «Finalmente l'occasione di vendermi, che avevo atteso tutta la vita. Ho detto sì. Ho chiesto un miliardo. Loro hanno trovato il prezzo un po' alto e hanno lasciato perdere. Anche vendersi, non è così facile...». Ma questa sera la sua indignazione è per Spike Lee. Il giovane autore nero gli ha appena mandato da leggere il copione del film su Malcolm X. Lui lo ha restituito con un bigi iettino. Dice di avere scritto «impara da Oliver Stone. Se un bianco ha avuto il coraggio di fare quel film sull'assassinio di Kennedy, possibile che un nero non possa avere il coraggio di dire tutto su Malcolm X?». All'improvviso ricorda il nome del suo amico italiano. Grida: «Nicolinil... Nicolini mi portava a Roma. Mi piaceva Roma, era più bello che andare in Africa. Mi spiegate perché non si sono fatti più vivi?». Furio Colombo

Luoghi citati: Africa, Newark, Roma