Ricino, un «tuttofare» a grande richiesta
Ricino, un «tuttofare» a grande richiesta Viene utilizzato per prodotti cosmetici, inchiostri, fertilizzanti e persino nelle fibre sintetiche Ricino, un «tuttofare» a grande richiesta In Italia è dimenticato, ma ne importiamo per 10 miliardi l'anno ROMA. Lo troviamo nel bel maglione blu o rosso, così come sul soprabito di pelle, e serve anche per inchiostrare il giornale. Le signore hanno spesso a che fare con questa sostanza, ad esempio quando si danno cipria e rossetto. Ci riferiamo invece ad una delle piante «alternative» più diffuse e nello stesso tempo meno conosciute: il ricino. I derivati di questa coltura sono infatti usati in numerosi settori che vanno dall'industria tintoria alla concia delle pelli, alla fabbricazione di cosmetici, agli inchiostri da stampa, agb oli essiccativi per vernici, adesivi, carta carbone, nei processi di fabbricazione delle fibre sintetiche e nei fertilizzanti agricoli (i pannelli). Inoltre è un ottimo olio lubrificante. Tra le numerose colture cosiddette «alternative», il ricino dunque è una di quelle con le maggiori potenzialità. «Non c'è nessun problema di mercato», dicono alla Tecna- gro che, nell'ambito delle proprie attività di ricerca di nuove colture, ha da tempo avviato in Puglia un ampio programma scientifico-applicativo concernente le colture «alternative», tra cui il ricino riveste un ruolo di determinante importanza. «Il problema che si pone - precisa Carmelo Sigliuzzo della società di ricerca -, è soltanto quello di verificare la qualità e la redditività della coltivazione nelle aree più vocate». Dunque, è molto richiesto, tant'è vero che l'Italia ne importa ogni anno per circa 10 miliardi di lire, tra olio e semi; ma non viene coltivato: perché? Vediamo di capire questa contraddizione. Dopo un periodo, corrispondente al ventennio fascista, di notevole diffusione (4500 ettari nel 1936: un record), c'è stata una notevole diminuzione della superficie sino alla quasi totale scomparsa dei campi di ricino. Causa di questo de¬ clino è stata la mancanza di specie selezionate che fossero «erbacee», quindi adatte alla meccanizzazione e che non presentassero una forte scalarità di maturazione dei racemi, capaci di produrre capsule indeiscanti, cioè che non si aprono prematuramente, altrimenti c'è una perdita di prodotto. Per questi motivi il ministero dell'Agricoltura ha avviato un programma di ricerca, che si propone di trovare nuove cultivar. Sempre per lo stesso motivo, la Tecnagro ha messo a punto in diversi areali pugliesi campi dimostrativi presso aziende private e pubbliche per valutare i comportamenti della coltura in condizioni differenti di terreno e clima, e a diversi regimi irrigui. «I risultati di questi primi anni dice ancora Carmelo Sigliuzzo lasciano ben sperare circa il futuro di questa pianta, visti i notevoli progressi ottenuti dalla ricerca: le nuove varietà - pur¬ troppo non ancora disponibili in commercio - sembrano ben adatte agli ambienti meridionali e molto più produttive (le rese medie per ettaro vicine ai 25 quintali) delle vecchie cultivar; e, ancora più importante, presentano semi a maturazione contemporanea, fenomeno utilissimo ai fini della raccolta unica, meccanizzata». «Nei prossimi anni - aggiunge Sigliuzzo - si dovrà ancora lavorare per l'approfondimento e la definizione di tecniche agronomiche appropriate e per la messa a punto di una macchina raccoglitrice adeguata». Come considera la Cee questa euforbiacea? La totale dipendenza della Comunità dal mercato mondiale ha spinto la Cee ad adottare misure di incoraggiamento alla coltura e alla trasformazione del seme, attraverso un'integrazione di prezzo sul seme trasformato. Gianni Stornello
Persone citate: Carmelo Sigliuzzo, Gianni Stornello, Ricino
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