L'insostenibile leggerezza di Nathan di Osvaldo Guerrieri

L'insostenibile leggerezza di Nathan A Genova il dramma di Lessing con la regia di De Monticelli, protagonista Eros Pagni L'insostenibile leggerezza di Nathan La favola della saggezza e della fratellanza in una messa in scena elegante ma fredda GENOVA DAL NOSTRO INVIATO E' senz'altro un avvenimento la messa in scena di «Nathan il saggio», favola della saggezza e della fratellanza che Gotthold Ephraim Lessing scrisse nel 1779, dopo «Minna von Barnhelm» e «Emilia Galotti»: splendida trilogia, che trasformò profondamente la drammaturgia tedesca, distrusse le sue tendenze illuministiche e spianò la strada allo Sturai und Drang. Fra queste, «Nathan il saggio» è l'opera in cui si riflette completamente la serenità morale di Lessing, l'uomo che, per dirla con Heine, non avrebbe mai tradito la verità nemmeno per farla trionfare. Ma la, favola di «Nathan» è serena soltanto in superficie. Certo, è deliziosamente e tortuosamente «orientale» quando ci racconta del ricco ebreo Nathan, del sultano Saladino e del Templare riuniti dalla sorte in un unico nodo narrativo, al tempo della terza crociata, a Gerusalemme. Nathan ha una figlia, Recha, che il Templare ha salvato da un incendio. Il Templare è stato a sua volta graziato dal sultano di cui era prigioniero, soltanto perché somiglia a un suo fratello perduto. Recha e il Templare s'innamorano. Infine, con una doppia agnizione di stampo rinascimentale, si scopre che il Templare è nipote del Saladino e, insieme, è fratello di Recha, una cristiana allevata amorevolmente da Nathan. Se fosse soltanto questo, l'opera dovrebbe essere considerata nient'altro che un'epopea di stampo volterriano. In realtà «Nathan» è un ariete polemico scagliato contro il luteranesimo e il dogmatismo cattolico. Attraverso la celebre favola dei tre anelli (desunta da Boccaccio) Lessing espone le sue teorie pedagogiche e religiose. Il punto non è sapere quale dei tre anelli è autentico, cioè quale delle tre religioni rappresentate nell'apologo sia vera. Bisognerà vedere, invece, quale dei tre anelli darà buoni frutti e renderà migliore chi lo porterà: solo la vita buona è il criterio della verità. La vicenda esotica diventa perciò un pretesto per sviluppare un dramma di idee, per far crepitare passione, tradimento, conflittualità politica, guerra religiosa. Guido De Monticelli ha provato a mostrarcene tutta la complessità in uno spettacolo dall'eleganza quasi estenuata. Prodotto dallo Stabile di Genova e da quello di Catania, andato in scena al Teatro della Corte, «Nathan il saggio» si segnala innanzi tutto per le bellissime scene di Paolo Bregni, che riduce case, cupole, cancelli, alberi e giardini a semplici linee di ferro battuto. Visualizzazione bella e leggera che incide profondamente sull'intero spettacolo. Ma qui, purtroppo, il discorso si fa accidentato. Se va riconosciuta la bravura di De Monticelli nel manovrare macchine sceniche complesse, non si può non rilevare quella specie di impotenza che gli ha impedito di far palpitare il corpo multiplo di «Nathan». Lo spettacolo, per tanti aspetti incantevole, a volte sembra smorzarsi sul palcoscenico. Il limite si riflette anche sull'interpretazione. Certo, Eros Pagni è bravissimo nel restituirci l'infinita umanità di Nathan, così come sono bravi Salvatore Landolina (Saladino), Dorotea Aslanidis (dama di compagnia di Recha), Mario Cei (il templare) e, via via, Rosanna Naddeo, Teresa Pascarelli, Ugo Maria Morosi, Virgilio Zernitz. Ma tutti sembrano, per così dire, raggelati. Ciò non ha impedito al pubblico folto e stranamente turbolento di applaudire con entusiasmo. Osvaldo Guerrieri Eros Pagni, Nathan, e Mario Cei, Templare, durante lo spettacolo

Luoghi citati: Catania, Emilia, Genova, Gerusalemme