I gemelli di Kantor L'assurdo è ragione di A. Pie.
I gemelli di Kantor L'assurdo è ragione «Ohio impronto» fino a stasera allo Juvarra I gemelli di Kantor L'assurdo è ragione TORINO. Venticinque minuti di spettacolo possono risultare un gioiellino teatrale. Succede con «Ohio impromptu», proposto per tre giorni, fino a stasera, allo Juvarra. Succede perché quando a mettere in scena un testo di Beckett sono Vaclaw e Leslaw Janicki, ovvero i gemelli di Kantor, i due attori che hanno partecipato alle più importanti creazioni dell'artista polacco, il teatro dell'assurdo viene restituito in un'interpretazione che ne esalta il rigoroso razionalismo. L'espressione limata all'essenza trova il suo doppio in una rappresentazione quasi claustrofobica: il testo viene ingabbiato in una registrazione e parole e rumori si ripetono con un falso realismo sottolineato dai microfoni in scena. Nel breve lavoro di Beckett una coppia di personaggi «il più possibile simili nell'aspetto» si fronteggiano come Ascoltatore e Lettore. L'uno è affranto in una solitudine disperata, l'altro lenisce l'attonito dolore con il racconto, sempre uguale, dei gesti quotidiani di una presenza che non c'è più. L'antica vita di coppia rivive surgelata nella ripetizione del ricordo. I gemelli eseguono la «partitura» mimando a vista i suoni di quei passi, i cigolìi di quella porta che poco più tardi prenderanno significato nella lettura. Lo scalpiccio è reso da due scarpe agitate come fossero uno strumento, lo scorrere del fiume è un rubinetto aperto e richiuso secondo le indicazioni di uno «spartito». Ma è tutto falso: i microfoni avvicinati alle sorgenti di rumore sono chiusi, i movimenti restano causa senza effetto sonoro. Quando poi il Lettore e l'Ascoltatore si siedono al tavolo, le parole arrivano dal passato in un immutabile presente. E si interrompono come un disco incantato, o come un nastro fatto tornare indietro per riascoltarlo. I gemelli sono di perfetta astrazione nel pastrano nero kantoriano così allusivo a un frac d'orchestrale. E quando se ne vanno, si portano via, tra gli applausi, una scarpa ciascuno, come si trattasse appunto di strumenti musicali. [a. pie.]
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