«A TORINO COME IN FAMIGLIA»
«A TORINO COME IN FAMIGLIA» INTERVISTE «A TORINO COME IN FAMIGLIA» Parla Nikita Magaloff Gli 80 anni del grande pianista OTTANTANNI di giovinezza. A pochi giorni dal concerto di Torino (Auditorium, il 5), con cui festeggerà l'importante anniversario, Nikita Magaloff accetta volentieri di parlare della sua carriera e dei ricordi che lo accompagnano in un'attività che, seppure rallentata, non conosce ancora soste. E lo fa in modo semplice, con la naturalezza di chi dalla vita ha avuto proprio tutto: un talento fuori misura, insegnanti prestigiosi, compagni e colleghi entrati ormai nella storia. Maestro, che cosa prova tornando a Torino? «Mi fa piacere. Qui sono molto conosciuto e il pubblico mi vuole bene. E' importante suonare in un ambiente familiare, soprattutto adesso che la salute non è più quella di un tempo e ho bisogno di attenzioni». A parte i complimenti di rito, però, è difficile immaginare un luogo dove Malgaloff non sia noto o benvoluto: ha suonato a più riprese nei cinque continenti, da solo o con direttori come Klemperer e von Karajan, Karl Bohm o Ernest Ansermet. Esiste una caratteristica comune a questi interpreti? «Ognuno di loro riusciva a oltrepassare la nota scritta per trasmettere un messaggio personale e irripetibile, raggiungendo poi la vetta in un settore specifico del repertorio. Questione di affinità. Un esempio? Karl Bòhm era insuperabile quando dirigeva Mozart o Richard Strauss». E per Chopin? «Oggi Chopin viene guardato con sufficienza, chissà perché. E' difficile sentirlo diretto bene. Fa eccezione Carlo Maria Giulini, con il quale ho lavorato spesso, che lo esegue con grande competenza e umiltà». Parliamo adesso di musica contemporanea... «No, no, grazie. Non la capisco e non la eseguo. Per la verità ho suonato molta musica contemporanea, ma quella della mia epoca, quando gli autori si chia- mavano Ravel, Prokofiev e Stra- vinsky». E dei colleghi delle nuove generazioni che cosa pensa? Arthur Rubinstein, in una delle ultime interviste. affermava che i giovani pianisti spesso sfoggiano una tecnica abbagliante senza capire veramente ciò che suonano. E' d'accordo? «Sì, senz'altro. Sono stato più volte in giuria di concorsi internazionali e non ho quasi mai sentito nulla di interessante. Molti giovani possiedono un meccanismo prodigioso, ma non hanno nulla da dire. Attenzione, però: io distinguerei tra il fatto puramente meccanico e la tecnica, che è la capacità di dare il giusto colore e risalto a ogni suono e che nasce dall'individualità più profonda. Una grande tecnica non è mai un aspetto negativo perché si coniuga alla sensibilità e all'intelligenza». Comunque lei ha dedicato ai giovani gran parte delle sue energie... «Ho insegnato per anni al Conservatorio di Ginevra, dove ho avuto allievi oggi famosi. Come Martha Argerich, forse la più celebre di tutti». Accanto all'attività solistica, il maestro russo ha affrontato anche la musica da camera, suonando in diverse formazioni e avendo partner come Joseph Szigeti o Pierre Fournier. Cile cosa spinge un pianista a cimentarsi con la musica d'insieme? «Il desiderio, forse, di sentirsi un artista completo. Il segreto per suonare con gli altri sta nello scoprire il perfetto equilibrio tra le parti. Per questo-è necessaria ima conoscenza totale dello strumento. Non si tratta di far emergere questa o quella personalità, ma di trasmettere il significato intimo di ciò che si sta interpretando. Questa è una competizione in cui il vincitore dev'essere uno solo: la musica, naturalmente». Alfredo Ferrerò Magaloff con la moglie. Sotto: foto non recenti dell'artista
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