I TEPPISTI DEL ROMANZO

I TEPPISTI DEL ROMANZO In un pamphlet Enzo Siciliano processa gli esordi del Gruppo I TEPPISTI DEL ROMANZO CROMA ASSETTI violati, manoscritti trafugati, accuse di spionaggio editoriale, liti che finiscono in un'aula di Tribunale. Che brutta storia, quella della nascita del Gruppo '63 rievocata da Enzo Siciliano. «Il giorno in cui i cassetti di Giorgio Bassani, nella sede romana della Feltrinelli in piazza Esedra, vennero forzati fu il più brutto per la narrativa italiana nata dalle macerie della guerra», scrive infatti Siciliano nel capitolo introduttivo a Romanzo e destini, il libro pubblicato da Theoria che uscirà nei primi giorni di febbraio. Altro che «avanguardia in vagone letto», come la definì allora Sandro Viola sull'Espresso. Altro che ingresso di una nuova generazione di poeti e narratori. Altro che «fervido clima di sperimentazione narrativa» e apertura della nostra letteratura alle correnti più avanzate della cultura internazionale. Avrà pure raccolto uomini del calibro di Angelo Guglielmi e Umberto Eco, Edoardo Sanguineti e Alberto Arbasino, Nanni Balestrini e Giorgio Manganelli, Alfredo Giuliani ed Elio Pagliarani, ma la nascita del Gruppo '63 raccontata da Siciliano assomiglia più a un'irruzione di barbari nella cittadella della letteratura italiana, all'arrivo apocalittico di un gruppo di teppisti cinici e scaltri che non esitarono nemmeno a sfondare i cassetti di Giorgio Bassani. E perché poi? Perché l'autore del Giardino dei Finzi-Contini non voleva pubblicare Fratelli d'Italia di Alberto Arbasino e perciò fu accusato di voler censurare un libro, come scrive lo stesso Siciliano, che «conteneva giudizi poco riguardosi» sul conto di Montale, Moravia ed Elsa Morante. Siciliano, perché rievocare ancora quell'episodio di 29 anni fa? Perché l'aggressione a Bassani rende eloquentemente l'idea di quel fare un po' teppistico e nutrito di una certa ebbrezza avanguardistico-dadaista che fu in qualche misura il segno distintivo del Gruppo '63. E poi perché l'irruzione della neoavanguardia dilatò a dismisura la cattiva abitudine di trasformare il dibattito letterario in una rissa tra schieramenti contrapposti sulla base di pregiudiziali di ordine strategico. Strategia? Pregiudiziali? Schieramenti contrapposti? Sembra la descrizione di un duello politico. E la letteratura che c'entra? Appunto. Da quel momento ebbe inizio un periodo di vera e propria glaciazione della narrativa italiana. «La letteratura scendeva nelle catacombe», come ho scritto nel libro. La neoavanguardia aveva fatto tabula rasa. Lo sperimentalismo invadeva le case editrici. Il romanzo veniva respinto come un genere di serie B e scrivere un romanzo diventò una colpa di cui si doveva rendere conto alla società. E dopo i forsennati attacchi a Bassani, Cassola e Pasolini, persino Calvino fu messo in questione. À proposito di Calvino. Nel suo libro lei scrive: «Mise la sordina al proprio talento di narratore». Dunque lei accetta l'idea di un «secondo» Calvino algido, cerebrale, metafisico? La parabola di quell'eccellente narratore che fu Calvino esprime alla perfezione le conseguenze della glaciazione che irrigidì la letteratura italiana. Calvino subì quell'effetto di congelamento e lo dimostrò a cominciare dal Castello dei destini incrociati. Il finissimo narratore, il grande scrittore della Giornata di uno scrutatore si consegnava a una concezione della letteratura intesa come pura schematizzazione logica e operazione combinatoria. Un'idea che mortifica e impoverisce la letteratura. E' come se, volendo offrire una cena, ci si limitasse ad esibire il menù lasciando da parte il sapore e il gusto delle vivande. Tutto sbagliato nel Gruppo '63? Deve ammettere che servì a sprovincializzare la cultura italiana. Arbasino sollecitava una gita a Chiasso. Trovata giornalistica davvero ingegnosa, questa della gita a Chiasso. Efficace e suggestiva, lo ammetto. Ma davvero crede che Savinio, Landolfi, Gadda, Moravia e Montale non fossero andati e tornati da Chiasso chissà quante volte? Una curiosità. Nel libro lei ha parole durissime per «Capriccio italiano» di Sanguineti. Perché? Si buttava a mare Bassani per sostituirlo con un manufatto manieristico di nessuna qualità. Ecco perché. E dopo? Dopo furono tempi grami per chi amava il romanzo. Ricorda quella collanina einaudiana con la copertina color ciliegia? Pochi narratori inseriti in quella collana si salvarono: Celati, Vassalli (che adesso pensa e scrive cose giustissime sul Gruppo '63). E la collana feltrinelliana di «franchi narratori» diretta da Guglielmi? Solo adesso i «franchi narratori» hanno successo: sono arrivati alla televisione. Facciamo un salto cronologico e vediamo cosa è rinato dopo il diluvio. E' rinato il romanzo. Nonostante tutto, dapprima con balbettii e difficoltà, poi con sempre maggiore speditezza, si forma in Italia una generazione robusta di nuovi narratori. E allora scorriamo l'elenco degli scrittori citati nel suo «bilancio di un decennio»: Cordelli, Montefoschi, Bel' ' lezza, Paris. E poi Rasy, Albinati, Lodoli, Fortunato, Veronesi. Tutti romani o che vivono a Roma. E se qualche malizioso la accusasse di «romanocentrismo»? Gli suggerirei prima di tutto di completare l'elenco. Si accorgerebbe di almeno un'altra dozzina di nomi che con Roma c'entrano poco o nulla. Ciò detto, e dopo aver espresso il mio rincrescimento per l'assenza da quell'elenco di un robusto giovane narratore come Luca Doninelli, vorrei spezzare una lan¬ cia a favore del mio presunto «romanocentrismo». La prego. Oggi sarà pure una città devastata, ma Roma continua ad essere un punto di riferimento importante per gli scrittori. Non saprei spiegarne la ragione, ma è così. Non so perché Milano, la città di Montale e di Sereni, di Raboni e di Giudici, riesca a calamitare i poeti, ance e quelli «nuovi» come De Ange] .s e Cucchi. Non so perché, ma è così. E non so nemmeno perché Gadda e Parise, Pasolini e Flaiano siano approdati proprio a Roma. Sandro Veronesi, un giovane talento di Prato, dove si trasferisce? A Roma. Sarà un caso, ma è così. E se qualcuno ritiene che questo sia un sintomo del mio «romanocentrismo», faccia pure. Anche se continuo a ritenerla una definizione impropria. Pierluigi Battista «Alla Feltrinelli vennero forzali i cassetti di Bassani perché non voleva pubblicare i Fratelli d'Italia àArbasino, una vergogna» «Raccontare veniva considerato un atto di serie B, scrivere diventava una colpa» «Anche Calvino finì sotto accusa, così mise la sordina al suo talento» Nella foto grande Arbasino. Alla sua sinistra Sanguineti. Dall'alto in busso lìassani, Balestrali e Feltrinelli O

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