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Moriconi: è meglio il teatro che l'amore L'attrice trionfa in «Trovarsi» di Pirandello Moriconi: è meglio il teatro che l'amore ROMA. Nel «Ritratto di Dorian Gray» c'è una giovanissima attrice che, benché non abbia mai conosciuto l'amore, è una Giulietta trascinante. Il protagonista se ne incapriccia, ma quando la fanciulla lo ricambia, trasferendo la passione nella vita, e di conseguenza non riuscendo più a recitare, perde interesse e la abbandona. Lei, disperata, si uccide. Più cavillosa ma sostanzialmente affine la storia di «Trovarsi», tardo dramma di Pirandello scritto per Marta Abba. Anche qui Donata Genzi, pur presentata come una donna matura, non ha vissuto che sulla scena; almeno, a differenza di tante sue colleghe, le malelingue non sono mai riuscite ad attribuirle nemmeno un flirt. A un certo punto però perde, almeno in apparenza, la testa per un giovanotto estraneo al teatro. Questi vorrebbe sposarla, ma prima lei esige che venga a una sua recita. Ely (si chiama così, Ely Nielsen: ha sangue svedese e marinaro) obbedisce, ma vedendola eseguire per tutti gesti di cui aveva creduto di godere l'esclusiva, rimane traumatizzato e fugge prima della fine. Donata termina alla grande, poi accetta la solitudine e conclude che la vera vita è quella della finzione, dell'arte. La tesi è molto suggestiva, oltre che molto pirandelliana, e insieme con la ghiotta parte offerta alla primadonna spiega il relativo successo che la pièce ha otte¬ nuto in almeno un paio di riproposte nell'ultimo ventennio, prima di questa diretta da Giuseppe Patroni Griffi. Per altri versi però il lavoro è fra i più deboli di Pirandello. Innanzitutto è squilibrata la costruzione, con un prim'atto occupato dalla presentazione della protagonista attraverso le chiacchiere di un coro di caratteri minori destinati a scomparire. Poi le scene centrali con l'esplosione dell'eros sono enfatiche al limite del ridicolo, in particolare per l'impossibile personaggio del giovane e intollerante nonché salmastroso ribelle, una tinca se mai ce ne furono. La penetrante intelligenza dell'autore non è in definitiva presente che in qualche brano, vedi certi scambi della discussione iniziale fra i convitati (recita, Donata, o vive?), oltre al colpo d'ala finale, quando Donata nel bel mezzo di una tirata piena di pathos si ferma e riparte provando un'altra intonazione, facendoci capire di avere scelto di essere sempre e soltanto attrice. Davanti a «Trovarsi» insomma un regista più che a scavare, deve pensare a cavarsela. Con questo obbiettivo Patroni Griffi ha saggiamente evitato il pedale del realismo, chiedendo allo scenografo Aldo Terlizzi un impianto allusivo, sognante: si comincia col palcoscenico vuoto e l'Attrice che si trucca, o si strucca, in un angolo, mentre gli ospiti della villa dov'è attesa cicalano di lei. Poi vengono introdotti elementi molto sobri, un fondale neutro, una grande tenda-vela smossa a indicare la tempesta sotto la quale Ely vuole prendere il largo; da ultimo due divani rossi si divaricano e fra di loro si allunga una moquette dello stesso colore, a evocare un palcoscenico sul palcoscenico. Stagliandosi contro le luci fredde e precise di Luigi Ascione, i comprimari assumono spesso pose plastiche d'epoca, un po' come nelle lettere dell'alfabeto disegnate da Erte; parlano, anche, con enfasi e con pause talvolta innaturali. Se hanno solo delle macchiette molto pallide la colpa è di Pirandello; dall'insieme emerge comunque la confidente di Anita Bartolucci, una prestazione ricca di umorismo e di classe. Raspar Capparoni fa dell'assurdo Ely un narcisista nevrotico, concitato e gesticolante; esibisce, anche, un bel torace muscoloso, applaudito a scena aperta dalle signore presenti al Quirino. Valeria Monconi, senza la quale nulla di ciò avrebbe avuto senso, è apparsa sobria e moderna, cercando e perfino trovando, massime nel surricordato finale, uno spessore che il personaggio forse non possiede nemmeno. Nei sommessi momenti di solitudine e di amarezza ha avuto spunti magnifici; in quelli di felicità, meno, ma lì oltre che col testo doveva combattere contro un pigiammo avorio da Zelda Fitzgerald, che con le musiche Anni 30 riprese nei ringraziamenti ribadiva, ahimè, invece di attenuarla, la fatale mancanza di umorismo del tutto. Trionfo per lei, comunque, meritato. Masolino d'Amico Valeria Monconi (diretta da Patroni Griffi), splendida protagonista, soprattutto nei toni sommessi che rivelano i momenti infelici del suo personaggio. Ma il dramma resta forse il peggio riuscito di Pirandello

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