Se l'onorevole ha il «paté d'animo»

Se l'onorevole ha il «paté d'animo» In un libro l'esilarante repertorio di topiche e strafalcioni dei nostri parlamentari Se l'onorevole ha il «paté d'animo» Un socialista: «1feriti sono stati ricoverati al Politecnico» Un da «Il parere del sottoscritto, che peraltro condivido...» ROMA OLITICI ignoranti, esibizionisti, oscuri, bugiardi, provinciali, più che ridi coli, grotteschi. Si leggono queste 180 pagine e cascano le braccia. Si ripone il libro e nella testa rimane una sensazione di vuoto. Vendetta è fatta. Ma adesso? Si salvi chi può. Arriva in un momento particolare, con le elezioni alle porte, il più robusto, meticoloso, terribile ed esilarante stupidario della Repubblica italiana. S'intitola Scusatemi, ho il paté d'animo. Il fior da fiore delle imbecillità dei politici (edito da Rizzoli). Un anno di ricerche d'archivio e sul campo: su e giù per il Transatlantico a controllare nomi e circostanze e a sollecitare reciproche, abbondanti delazioni. A Montecitorio, per la verità, i preparativi dell'agguato non erano passati inosservati. Guido Quaranta, infaticabile giornalista parlamentare dell'Espresso, già autore di un crudele pamphlet sui dirigenti del pds, s'avvicinava ai politici, a troppi politici, con un'aria un po' più innocente e affabile del solito. E li tratteneva un po' più a lungo. Come sempre rideva, scherzava, e alla fine si congedava soddisfatto confermandosi, nel fondo dell'animo, dell'imperterrita vocazione masochista delle sue «vittime». Eppure, bisognava vederlo poco dopo, in qualche angolo buio, intento a trascrivere quei colloqui sul taccuino, per capire che non era lavoro di routine. Stava cucinando il suo «Paté», Quaranta. Uno spietato repertorio di svarioni, gaffes, sciocchezze, topiche, strafalcioni, non-sense, spropositi. Dai Presidenti della Repubblica: Leone che di fronte alla statua di Ciro il grande evoca il ristorante Ciro a Mergellina; Pertini che brinda a Juan Carlos e alla Repubblica spagnola; Cossiga che chiama «reggini» gli abitanti di Reggio Emilia. Fino a quei consiglieri circoscrizionali di Ostia che esortano a «tornare e partire con un concetto di movimento mentale più ampio», tirano in ballo il «bumareng» (che sarebbe il boomerang) e denunciano che una truffa «è stata sperperata». Lunga e tutt'altro che buia è la galleria degli orrori lessicali. Comincia con l'onorevole Carlotta, de: «Il parere del sottoscritto, che peraltro condivido...». E prosegue con una tragica serie di congestioni, cortocircuiti, involtolamenti di pronuncia. Come queìY wligopoZìo», con l'accento sulla i, pronunciato solennemente dal deputato de Urso che suscita una poesiola del collega (ex radicale) Mellini: «Di Urso porta il nome / d'un orso egli ha l'aspetto / ma parla proprio come / un asino perfetto». Il materiale abbraccia oltre un quarantennio. E i violentatori politici della lingua sono ormai arrivati alla terza generazione. Nella prima, ormai fuori gioco, spicca il sottosegretario socialista romano Aldo Venturini: «I feriti sono stati ricoverati al Politecnico»; «Certo che Lombardi parla proprio per indiziati». Figura in un certo senso leggendaria: un giorno si complimenta con un compagno senatore perché è riuscito a indossare «il clavicembalo» (voleva dire laticlavio). Un altro rassicura l'uditorio: «Tranquilli, parlerò per sketch». Nella seconda generazione, quella all'opera oggi, si fa notare l'onorevole de Nicotra, secondo cui nelle carceri «c'è molto sodo-masochismo». Per il passato remoto del verbo dire conia «noi dissimo». Accusa le lentezze parlamentari: «Bisogna smetterla con questo andare e rivieni». E anglizza il latino: plurale di referendum, «referendums»; curriculum, «curriculums». Tra le promesse della terza generazione l'assessore capitolino Gerace, de: «Tu fai un torto alla mia intellighenzia». Anche perché dispone di un immacolato «Pitigrilli» politico. E sospira sulla «tomba di Procusta». Maledetta mitolo- già: ci cascano in parecchi. Mastella richiama «la spada' di Brenno» piuttosto che quella di Damocle. Moltissimi, tra cui Craxi e Martelli, inciampano nel latino: «Ad libidinem», verso il piacere sessuale, scappa al socialista Cecchino Principe (invece che ad libitum). Martelli è debole anche in meteorologia: «Sì, il sismografo segna proprio tempesta!». Occhetto è bocciato in storia e geografia: scambia il palazzo cileno della Moneda con la Casa Rosada, e in Israele parla della West Bank, cioè la riva sinistra del Giordano, come di un istituto di credito occidentale. Il guaio è che spesso l'igno¬ ranza è l'anticamera dell'abbaglio. In un convegno italo-tedesco l'europarlamentare de De Vitto rivolge il saluto della Campania alla Repubblica di Weimar. Il senatore, sempre de, Rebecchini incontra il grande economista Modigliani e: «Mi dica la verità, maestro. Quelle teste trovate a Livorno sono sue o sono un falso?». Il ministro Pedini viene presentato a Norberto Bobbio: «Molto piacere, professore. E, mi dica, in quale liceo insegna?». Gaffes innocenti, dettate da emozione. Il comunista Bitossi di fronte alla bara di Di Vittorio: «Compagno Di Vittorio, ti porto gli auguri della classe operaia fiorentina!». Gaffes da microfono aperto. Il liberale piemontese Soleri che prima di un comizio sbircia l'orologio e sussurra a un amico, sul palco: «Niente paura, lasciami solo raccontare le solite quattro balle a questi imbecilli e poi ce la filiamo subito». Mentre quando i politici italiani sono all'estero il patè-stupidario di Quaranta si fa ancora più spaventosamente colorito. Qui il precedente storico è legato all'incontro tra Sceiba e un Presidente francese. «Piacere, Mendès-France» gli fa quello. «Molto lieto, Sceiba, Italia». In tempi più recenti si registra l'appello della de Maria Luisa Cassanmagnago nell'aula di Strasburgo: «Monsieur le Président, vous m'avez sauté deux fois!». Vorrebbe protestare, la povera eurodeputata, perché due volte non le hanno dato la parola. Ma non sa che in gergo «sautèr» vuol dire «montare». Così Piccoli, in un ristorante americano, ordina «gamberets» ma il cameriere non capisce. E allora si mette a mimare i movimenti dell'animaletto. Rimarchevole anche il richiamo di Rumor, che in un incontro a Bruxelles se ne esce con «la zona Cesarmi». Segue un lungo, sconcertato silenzio degli interlocutori europei. A suo modo straordinario l'exploit di Gorìa, secondo cui gli imprenditori di tutto il mondo sono «come cani da tartufo, sempre in cerca di un buon affare». Solo che lo afferma a New Delhi, dove quel tubero è del tutto sconosciuto. Poi si torna in Italia. Dove, ahinoi, c'è Lattanzio, ministro della Protezione civile, ritratto mentre s'attrezza a respingere, con decreti da bollettino di guerra, l'assalto di certe cavallette africane che mai arrivarono. Mentre il suo collega socialdemocratico Facchiano, alle prese con lo squalo di quest'estate, regala una sua personalissima teoria: la bestia ha paura del bianco e quindi si sconfigge lanciando in acqua stoviglie. Facchiano lascia intendere che in caso di necessità avrebbe dato disposizioni alle capitanerie. Ma fa sul serio?, gli chiede Quaranta. E il ministro, risentito, spiega che quel metodo fu usato all'inizio del secolo dai camerieri napoletani di «Zi' Teresa» e «La bersagliere)». Si salvi chi può. Non dagli squali. Filippo Cec carelli Achille Occhetto. Ha scambiato il palazzo cileno della Moneda con la Casa Rosada, e in Israele parlava della West Bank (la riva sinistra del Giordano) come di un istituto di credito, occidentale. Vito Lattanzio. Come ministro della Protezione civile voleva respingere, con decreti da bollettino di guerra, l'assalto di certe cavallette africane che non arrivarono mai. A Claudio Martelli è capitato, come a Craxi, di inciampare nel latino. Ma è debole anche in meteorologia: «Sì, il sismografo segna proprio tempesta!»