Le bugie MALCOLM X

Le bugie MALCOLM X LAmerica ridiscute il leader nero ucciso 27 anni fa: due libri scavano nel suo passato, Spike Lee prepara un film Le bugie MALCOLM X MALCOLM X si coprì il petto con una mano quando fu colpito dalla prima delle tredici pallot tole che lo uccisero. Piegò in avanti le spalle e il suo lungo corpo cadde improvvisamente all'indietro. Con un tonfo sordo sul palcoscenico della Audubon Ballroom di Harlem si concluse il suo ultimo comizio. Ventiduemila persone sfilarono allora (era il febbraio del 1965) nella camera ardente del grande incantatore nero, ex criminale, sfruttatore di donne e galeotto, che fece dell'Islam una forza nell'America nera. E ora, più di un quarto di secolo dopo, l'America torna con tre libri e un film a interrogarsi inquieta su questo razzista sprezzante d'ironia, che secondo il New York Times «è probabilmente la più forte presenza nella coscienza politica dei neri americani di oggi». Malcolm X è morto, a 39 armi, proprio nel momento in cui stava rivedendo la sua intolleranza per i bianchi e iniziava a sfilarsi la pelle del rivoluzionario musulmano per flirtare con i marxisti e considerare, molto cautamente, i vantaggi che offriva il riformismo del suo grande rivale cristiano, Martin Luther King. E questo è importante, per capire come mai la sua eredità si sia prestata alle interpretazioni diverse e contrastanti del Black Power, delle Pantere Nere e dell'area moderata. Sono interpretazioni destinate ad aprire ima polemica che già si annuncia calda, intorno al film su Malcolm X che sta girandoli giovane regista néro Spike Lee. Finora Lee si è difeso concedendo agli intervistatori dichiarazioni generiche: «Se vogliono sapere come tratterò Malcolm, che aspettino e paghino il biglietto». «Mi fido di te al 25 per cento» Ma intanto, mentre i neri di diverse fazioni attendono agguerriti che il film sia presentato, e mentre i politologi si interrogano sul futuro che a Malcolm X è stato negato, si riesamina la sua vita come la parabola di un criminale qualunque, che si è risollevato dalla polvere e ha dato dignità a un'intera razza di umiliati. E ci si chiede perplessi perché abbia mentito su alcuni episodi fondamentali del suo passato. E' questa la conclusione a cui arriva Bruce Perry in Malcolm, la biografia appena pubblicata dalla Station Hill: un libro che ha l'ingrato destino di confrontarsi con quella sorprendente avventura che è l'Autobiografia di Malcolm X, l'appassionato documento che nelle mani del coautore Alex Haley (l'autore, più tardi, di Radici) è diventato un classico della letteratura americana. Sappiamo che con prudenza Haley trascrisse le parole del leader nero, riuscendo a poco a poco a corrodere la sua aggressiva ritrosia. «Mi fido di te al 25 per cento», lo sferzava Mal¬ colm X. Era così persuaso che Haley ospitasse i microfoni dell'Eoi che per settimane entrò nel suo studio esclamando: «Prova, prova... uno, due, tre...». Ma Bruce Perry riesce a dimostrare che nel suo libro Malcolm X aveva deliberatamente mentito sul suo passato. Non corrisponde al vero, secondo Perry e i suoi testimoni, che una notte gli uomini del Ku Klux Klan affrontarono la madre Louise Little, incinta di Malcolm, scacciando la sua famiglia dal paese di Omaha, Nebraska. Né che furono dei bianchi ad appiccare il fuoco alla loro successiva casa, a Lansing, nel Michigan. E quel padre predicatore laico che Malcolm volle credere ucciso da una squadracela razzista morì invece, così oggi si dice, travolto da un tram che cercò di prendere in corsa, mentre era inseguito da un uomo che lo aveva scoperto insieme alla propria moglie. Dal fango all'Islam Aveva davvero bisogno Malcolm X di aggiungere ulteriori giustificazioni al suo odio per l'America bianca della segregazione razziale? Probabilmente no: ma addossare ai bianchi le colpe di un padre violento, fannullone, incendiario e «nato puttaniere», che favoriva Malcolm tra i suoi otto figli perché aveva la pelle più chiara, poteva essere un buon modo per rispettare, almeno nel ricordo, una figura detestabile. L'enfasi che nei suoi discorsi Malcolm X vuole dare al suo passato di giovane criminale è un espediente che gli serve invece a poter dire agli abitanti dei ghetti: «Io sono l'uomo che voi credete di essere». A13 anni batte già le strade malfamate di Boston. Più tardi, a New York, è uno spacciatore di marijuana, cocaina e eroina, un trafficante di alcol clandestino, un giocatore d'azzardo, un ruffiano con i capelli stirati e rossi, vistoso come un gallo da combattimento, che porta i bianchi ricchi di Manhattan a sfogare le loro perversioni nella casa di una maitresse nera di Harlem. Guarda tutto, nulla lo sorprende, e sembra che a volte si venda (ma questo nell'autobiografia non lo confessa) agli omosessuali disposti a pagar bene. Con una grande freschezza narrativa Malcolm X illumina nell'autobiografia la parte peggiore della sua esistenza, per dimostrare che «sarebbe impossibile trovare, qui in America, un negro che abbia vissuto più di me nel fango della società, che sia stato più ignorante di me...». La grande avventura della sua crescita intellettuale e morale comincia con una condanna a dieci anni di lavori forzati per rapina. Malcolm Little si converte all'Islam e inizia a sfamare la sua mente con tutto ciò che trova nella ricchissima biblioteca della prigione di Norfolk. Ma fi- gnoranza in cui è precipitato è tale che per uscirne trascrive un intero dizionario parola per parola, finché è in grado di leggere Kant, Schopenhauer e Nietzsche. E quando esce di prigione, a 27 anni, è il più brillante, il più colto, il più focoso e il più disciplinato dei discepoli del «molto onorevole Elijah Mohammad», il soave e minuto despota spirituale della setta nera chiamata Nazione dell'Islam. Diventato Malcolm X in attesa di ricevere un cognome islamico, porterà i seguaci di Elijah Moham- mad da 400 a 40 mila, i templi da 10 a 50, e sarà il demonio della stampa bianca. Malcolm X il pastore della Nazione dell'Islam appare oggi nella biografia di Bruce Perry come un uomo di un'austerità minacciosa, così inflessibile nell'imporre la disciplina islamica alla moglie Betty e alle fighe da essere accusato, dal suo stesso biografo, di sciovinismo maschile. Predica l'odio e la violenza come autodifesa dai bianchi: «Tutte le volte che vedete l'uomo bianco pensate che è il diavolo! ... La sua crudeltà e la sua ingordigia gli attirano addosso l'odio del mondo!». Disprezza gli «zii Tom», «i negri da cortile», che credono stoltamente nel miraggio dell'integrazione razziale. E la soluzione che suggerisce, nel nome di Elijah Mohammad, è uno Stato nello Stato, una nazione nera indipendente, con le proprie banche, la propria agricoltura e le proprie fabbriche. Oggi, anche alla luce di questi studi recenti, perde credibilità la folgorante illuminazione politica che lo colpì durante il suo pelle¬ grinaggio alla Mecca nel '64, dopo 12 anni di militanza nella Nazione dell'Islam. Sembra invece che si sia trattato di una trasformazione a lungo meditata. Il pellegrinaggio gli consentì di dichiarare che nelle strade saudite, gremite di pellegrini di ogni colore, aveva «scoperto» che tutte le razze sono sorelle quando venerano Allah. Questo espediente gli permise di moderare improvvisamente il suo razzismo senza commettere un suicidio politico. E di dare al nazionalismo nero una nuova prospettiva, più appetibile per le masse della chimera di uno Stato separato: il controllo da parte dei neri della vita economica e politica delle loro comunità, nello Stato bianco americano. Poco prima del viaggio alla Mecca, Malcolm X era stato clamorosamente espulso dalla Nazione dell'Islam per la gelosia del suo maestro Elijah Mohammad, umiliato dal successo di quel discepolo che con le sue invettive era diventato il campione dei ghetti e l'oratore più richiesto nei college dopo il senatore Goldwater. Bruce Perry allarga il quadro storico quando spiega che «incutendo paura ai bianchi e portandoli a credere che la non violenza di Martin Luther King era, al confronto, una soluzione da benedire, Malcolm aiutò a creare il clima politico che portò all'approvazione degli emendamenti dei diritti civili del '64 e del '65... La sua voce salvò l'America dalla catastrofe razziale». Ma la tesi ardita, destinata a provocare controversie, è quella della biografia comparata Mar¬ tin (Luther King) & Malcolm & America (Orbis Books) di James Cone, secondò il quale il profondo ripensamento che colpì entrambi gli uomini poco prima che le loro vite,fossero recise avrebbe creato un ponte tra i due rivali, eliminando del tutto la necessità di schierarsi con l'uno o con l'altro. «Fbi, Cia e polizia hanno tutte giocato la loro parte nell'assassinio di Malcolm X», vuole ricordare il regista Spike Lee nell'introduzione a Malcolm X. The Fbi File (Carrai & Graf), che rende per la prima volta pubblico il dossier dell'Fbi sul leader nero. «E mi sorprende che abbiano svenduto queste carte. Chiedetevi cosa è andato distrutto: di quali documenti non sapremo mai nulla?». La sfida all'ex maestro Malcolm X aveva la fredda consapevolezza .che sarebbe stato ucciso da un emissario di Elijah Mohammad, che aveva pubblicamente sfidato e denunciato come corrotto. E così è stato: col benestare, si disse allora e si dice oggi, dell'Fbi e nell'indifferenza della polizia. «Se sarò ancora vivo quando uscirà questo libro confidò ad Alex Haley mentre stavano ultimando l'autobiografia - sarà un miracolo. Non lo dico con disperazione». Poi chinandosi a toccare una coperta gialla sul letto: «Lo dico nello stesso senso in cui dico che questa è una coperta». Livia Martora Non è vero che il Ku Klux Klan minacciò sua madre, né che furono dei bianchi a incendiargli la casa. E il padre era un violento, non fu vittima dei razzisti Accanto Malcolm X a un comizio dei musulmani neri. Sotto con Martin Luther King nel 1964. Nel riquadro Spike Lee