Ergastolo bis allo zio di Cristina

Ergastolo bis allo zio di Cristina Delitto di Balsorano, la Corte d'appello conferma la sentenza di primo grado Ergastolo bis allo zio di Cristina Dopo il verdetto il padre della bimba ha pianto abbracciandogli avvocati L'AQUILA DAL NOSTRO INVIATO E' ancora ergastolo per Michele Perruzza, lo zio assassino della piccola Cristina Capoccitti. La corte d'assise d'appello è uscita a tarda sera dalla camera di consiglio con la decisione in tasca. Volto grave, voce delle grandi occasioni, il presidente Tarquini ha letto la sentenza: carcere a vita per il colpevole. E il babbo di Cristina ha abbracciato i suoi avvocati con le lacrime agli occhi. Ergastolo, dunque, per aver rapito la piccola Cristina con fini di libidine, per averla uccisa volontariamente e poi aver occultato il cadavere. La corte ha rigettato tutte le eccezioni, tutti i dubbi, le zone d'ombra che una difesa disperata aveva gettato sul cammino di questa sentenza. L'unica concessione è sulle aggravanti: si escludono le sevizie e la crudeltà. Al mattino, prima che la corte si ritirasse, c'era stato l'ultimo vano assalto dei legali della difesa. E lo «zio Michele», che pure aveva seguito diligentemente tutte le udienze, sempre in giacca blu e pantaloni grigi, ieri ha detto «no». Tramite i carabinieri ha fatto sapere alla corte che sarebbe rimasto in cella: troppa tensione. Sapeva (o forse intuiva) che la sua famiglia ne sarebbe uscita con le ossa rotte. E in- fatti i difensori, Attilio Cecchini e Antonio De Vita, in un discorso-fiume di quattro ore, non sono stati leggeri. «Io queste cose devo dirle, devo dirle, anche se sono spiacevoli», ha premesso Cecchini a un certo punto, con voce bassa, quando si è avvicinato al cuore del suo ragionamento. E come se queste parole fossero un segnale, sono usciti dall'aula anche i genitori di Cristina. Anche loro non hanno voluto sentire questa «controverità» dei difensori di Michele Perruzza. E la difesa si trasforma in una sorprendente arringa accusatoria contro il figlio tredicenne del muratore. «Cristina, dopo cena, è stata vista per l'ultima volta mentre aspettava qualcuno davanti a casa Perruzza. Poi si è sentito cigolare un cancello. Chi è uscito, per incontrare la bambina: il padre o il figlio? E perché sia Cristina sia il ragazzino hanno mangiato con tanta fretta? Ma è chiaro, si erano dati un appuntamento. Per questo motivo, la bambina disse ai genitori: "Non ci chiamate"». Ecco il teorema della difesa. La bambina si sarebbe allontanata con il cuginetto. Avevano fretta di fare un gioco nuovo. «Un giochino erotico, che solo i coetanei possono fare», grida Cecchini. Ma il «giochino» finisce male. La bambina si spa- venta. Una mano maschile la spoglia e la fruga. «In maniera maldestra, come solo un adolescente può fare», chiosa l'avvocato. Poi una caduta, una ferita sanguinosa alla fronte, il panico. Una mano le stringe il collo, un'altra le chiude la bocca per soffocare le urla. Il resto - secondo la difesa sarebbe una storia di paura e ignoranza «secondo la costumanza contadina di questo Abruzzo profondo». Fin qui l'arringa della difesa. Ma i giudici non le hanno creduto. Hanno confermato, invece, la ricostruzione del tribunale di primo grado: non è stato il tredicenne figlio di Miche¬ le Perruzza ad aver preso per mano la bambina, quella sera dopo cena, ma il padre. Sono state le sue mani che hanno spogliato frettolosamente la bimba. Ed è stato sempre lui, il muratore quarantenne che la bambina considerava un secondo padre, ad alzare prima una pietra contro la testa della bambina per poi finirla a mani nude. Questa la verità giudiziaria. Ci sono prove: un paio di mutande insanguinate e una canottiera con capelli di bimba. Ci sono i precedenti di approcci violenti di Michele a due bambine del paese. E soprattutto c'è un testimone oculare: ai giudici la verità l'ha raccontata un altro bambino, il figlio di Michele che vide tutto, seguendo il padre e la bambina da lontano. Vide e capì abbastanza per restarne sconvolto. Quando è stato chiamato a dare l'ultima testimonianza, quella a porte chiuse che poi avrebbe inchiodato il padre, il ragazzino si è messo a piangere davanti ai giudici. «Io voglio bene a papà. Anche se lui ha ucciso Cristina. Per questo mi ero accusato. E anche se loro, papà e mamma, non mi vogliono più bene e mi stanno rovinando la vita». Francesco Grignettl L'ultima difesa dell'imputato «L'ha uccisa mio figlio» Michele Perruzza in aula durante il processo e, sopra, la piccola Cristina

Persone citate: Antonio De Vita, Attilio Cecchini, Cecchini, Cristina Capoccitti, Michele Perruzza, Perruzza, Tarquini

Luoghi citati: Abruzzo, Balsorano, L'aquila