C'era un maniaco sessuale alla guida dell'Fbi: Hoover

C'era un maniaco sessuale alla guida dell'Fbi: Hoover Le perversioni, i ricatti, i trucchi del superpoliziotto americano in una spregiudicata biografia C'era un maniaco sessuale alla guida dell'Fbi: Hoover WASHINGTON 11 UANDO ero piccolo, tutti 11 sapevano che l'enorme 11 pene di John Dillinger era J^J conservato in una sala V nera dello Smithsonian Institution e che J. Edgar Hoover, il capo dell'Fbi, aveva dato la caccia al pericolo pubblico numero uno perché era geloso dei suoi attributi sessuali. Una nuova biografia di Hoover - scritta da Curt Gentry e pubblicata negli Stati Uniti - ora mette in discussione la prima affermazione e ignora la seconda, ma conferma quasi tutti gli altri sgradevoli apprezzamenti che sono stati fatti sul capo dell'Fbi. Il gangster Frank Costello non era particolarmente schizzinoso in fatto di conoscenze, ma non sopportava Hoover, che considerava un «ricattatore di professione». Hoover ricattava i membri del Congresso e i senatori, i presidenti e i procuratori, gli editori, i registi di Hollywood e chiunque avesse il potere di fargli del bene o del male. Questa capacità di ricatto gli assicurò una carriera straordinariamente lunga: morì sulla breccia, disprezzando ogni legge e odiatissimo. Sue vittime famose furono John F. Kennedy e il fratello Robert, ma la tecnica che usava era collaudata. Aveva una predilezione per gli argomenti di tipo sessuale, omosessuale, perverso o razziale. Un tipico esempio di questa tattica fu il controllo esercitato su un potente editore americano grazie ad alcune fotografie della moglie impegnata in una fellatio con l'autista negro. Il primo frutto di questo ricatto fu l'improvvisa scomparsa degli articoli che criticavano anche blandamente l'Fbi. Hoover era però disposto a utilizzare anche le scorrettezze finanziarie o qualunque altra cosa sulla quale poteva mettere le mani. Indagava, come fosse la cosa più ovvia del mondo, sui figli delle sue potenziali vittime e se non riusciva a trovare qualcosa di sporco nella vita dei suoi superiori cercava di compromet- terli in ogni modo. Indusse ad esempio molti procuratori generali a ratificare per iscritto, spesso senza che nemmeno lo sapessero, le sue illegalità. Il ricatto a volte era una misura precauzionale: si rifiutò di approvare la scelta del regista di un film sull'Fbi finché non ne trovò-uno che poteva controllare. Il materiale ricattatorio veniva usato anche per sedurre e corrompere: diverse amministrazioni furono titillate con i segreti dei loro nemici. Il presidente Lyndon B. Jonhson si divertiva a leggere i rapporti sulle abitudini sessuali di amici e avversari. Nixon, che ammirevolmente si rifiutò di ascoltare quelli che venivano definiti i «problemi personali» dei suoi dipendenti, era però attirato dalla prospettiva di usare i dossier contro i nemici. La sua passione per il materiale piccante metteva in secondo piano tutte le altre considerazioni sui personaggi inquisiti: dopo l'uccisione di Oswald, l'assassino di John F. Kennedy, l'Fbi scoprì la passione di Jack Ruby per gli atti osceni, ma non i suoi legami con i personaggi della mafia che avevano minacciato di assassinare Kennedy. Hoover, sebbene ritenesse di essere vulnerabile al ricatto per la sua chiacchieratissima omosessualità, era quasi certamente un casto e un omosessuale violentemente omofobico. Non risparmiò energie per confutare le affermazioni sulla propria sessualità. Fece collocare microfoni nei gabinetti dell'Fbi per scoprire gli agenti omosessuali. Verso la fine della carriera interruppe un meeting con il Presidente per lanciarsi in una filippica sull'omosessualità come pericolo numero uno per la Repubblica. Era ossessionato anche dal problema di conciliare la sua altezza con il peso - era piccolo e grasso -, atterrito dai pericoli dei germi e delle mosche. La maggior parte dei pochi agenti neri dell'Fbi erano autisti, ma uno gli serviva da maggiordomo-valletto-acchiappamosche. Aveva un carattere odioso nella sua megalomania, ferocia e vanità, e una gelosia folle per qualsiasi rivale. Quando Hoover morì, la prima mossa dell'amministrazione Nixon fu quella di cercare di mettere le mani sul suo archivio segreto, un concentrato di potere che poteva creare difficoltà all'amministrazione o renderla invul¬ nerabile. I più diretti collaboratori di Hoover mentirono ripetutamente e presero tempo per nascondere e poi distruggere il materiale. La maggior parte è andato perduto per sempre. Ma da ciò che è rimasto ci si può fare un'idea dello scrupolo con cui l'Fbi raccoglieva il suo materiale. John Kenneth Galbraith, nel cor- so di un'indagine sulla sicurezza condotta nel 1946, era stato descritto come «dottrinario». Gli intervistatori dell'Fbi trascrissero questo giudizio come «seguace del dottor Ware» (un comunista sospetto) e l'accusa rimase negli schedari dell'Fbi per i successivi vent'anni, accompagnata da una descrizione fisica, caso mai il famoso economista si fosse trasformato in una spia atomica e avesse cercato di lasciare di nascosto il Paese. L'Fbi scrisse che era alto 1 metro e 65. Galbraith è famoso anche per essere alto quasi due metri. I servizi segreti erano soggiogati dalle fantasie di Hoover. Disse un agente speciale ad Atlanta a un subalterno: «Devi capire che lavori per un pazzo maniaco e che il nostro lavoro... è quello di scoprire che cosa vuole e creare il mondo in cui vuole credere». Il libro di Gentry racconta le manipolazioni della stampa, la gelosia furiosa per l'Oss e poi per la Cia, l'anglofobia di Hoover ai tempi della guerra, il suo controllo degli schedari ufficiali, il suo ruolo nell'invenzione della sicurezza nazionale, i suoi vari tradimenti e la sua venalità. J. Edgar Hoover emerge dalle pagine come un autentico mostro, ridicolo e ripugnante, e Gentry lo ha analizzato in pro¬ fondità. Il libro è spesso divertente, e poi, all'improvviso, cambia registro. Il famoso tentativo di spingere Martin Luther King al suicidio - suggerito dalla scoperta che King a dodici anni aveva tentato di uccidersi - è penoso e disgustoso. Ecco un passo da una lettera anonima dell'Fbi: «King, guarda dentro il tuo cuore. Sei tutto un inganno e una grossa menzogna per tutti noi negri... Non sei un prete... Ma ormai sei fatto. Le tue lauree ad honorem, il tuo Premio Nobel (che brutta farsa) non ti salveranno.... ti resta solo una cosa da fare. Sai qual è. Hai appena 34 giorni per farlo... Hai una sola via d'uscita. E' meglio che la imbocchi prima che il tuo sporco io, mostruoso e fraudolento, venga rivelato alla nazione». Questo fu un tentato omicidio particolarmente sordido, ma non fu l'unico. Alcuni riuscirono. L'attrice Jean Seberg fece nove tentativi di suicidio - l'ultimo le riuscì - dopo la morte di un bambino prematuro che l'Fbi sosteneva fosse figlio di un affiliato alle Pantere nere. Hoover, ridimensionato e ridicolizzato, ha ancora il potere di nauseare. Fredric Paul Smoler Copyright «The Observer» e per l'Italia «La Stampa» Con le sue indagini segrete sulla vita intima dei vip, teneva in pugno presidenti e senatori, editori e registi Martin Luther King (a sinistra) e (sotto) John e Bob Kennedy, tre vittime di J. Edgar Hoover, capo dell'Fbi (a destra con Nixon)

Luoghi citati: Atlanta, Hollywood, Italia, Stati Uniti