GRASS a RUSHDIE NOI maledetti

GRASS a RUSHDIE NOI maledetti Lo scrittore tedesco scrive all'autore dei «Versi satanici»: come rispondere al tuo grido di aiuto GRASS a RUSHDIE NOI maledetti PRIGIONIERO di una metafora», che lo costringe a viaggiare da tre anni sul «pallone aerostatico» della condanna a morte khomeinista, sospeso sopra una realtà di cui non vede il fondo, 1' 11 dicem I bre scorso Salman Rushdie rivolgeva un accorato appello da New York: «Dovete decidere voi quanto vale la vita di uno scrittore, un inventore di storie, uno che è in contrasto con il mondo». L'invocazione d'aiuto è stata ripetuta domenica sera, in uno studio londinese, al quotidiano Die Tageszeitung e trasmessa dalla televisione tedesca Arf. Lo scrittore anglo-indiano vive nascosto, braccato, dal 14 febbraio 1989, quando l'ayatollah mise una taglia sulla sua testa perché il suo romanzo I versi satanici avrebbe inflitto all'Islam un oltraggio blasfemo. Dopo aver precisato che l'appoggio del «popolo britannico, europeo, del mondo» è stata l'unica cosa che l'ha aiutato a sopportare la prigionia, Rushdie ha sollecitato una «soluzione politica» del suo problema; questa, ha aggiunto, può venire soltanto dalla «pressione politica» dell'opinione pubblica, L'allegoria del pallone aerostatico ricorre più volte nel discorso pronunciato da Rushdie alla Columbia University e riportato integralmente dal settimanale Die Zeit. Gli altri passeggeri della mongolfiera, gli ostaggi occidentali detenuti in Libano, ne sono scesi, sani e salvi. «Ma io resto a bordo - nota Rushdie - e reclamo il mio diritto a esistere». Zavorra pregiata, quella che trascina verso il suolo il pallone aerostatico di Rushdie, nella «bocca spalancata» del vuoto sottostante: «Relazioni commerciali, traffico di armi, l'equilibrio tra le potenze nel Golfo e altro ancora». Lo scrittore riassume quindi la sua prigionia, snodatasi lenta fra lettere d'insulti e di minacce, vane dimostrazioni di solidarietà, il fallimento del suo matrimonio, fino alla rinuncia, nel dicembre '90, a stampare I versi satanici in versione tascabile. E qui Rushdie rialza con orgoglio la testa: «Non ho mai rinne¬ gato il mio libro. Ho solo detto che mi dispiaceva aver ferito qualcuno. Devo ammettere che non avrei dovuto cedere». Tre anni sono passati, e la «riconciliazione» non è avvenuta: a maggior ragione il libro incriminato «dev'essere ora alla portata di tutti». Rushdie non ha capitolato e continua a sperare. Ma terrà fede con testardaggine, con tutte le forze, al «camaleonte della sua anima, chimerico suscitatore di immagini». E ribadisce: «La libertà di parola è tutto, è la vita stessa». Ma gli rimane il dubbio angoscioso di trovarsi ormai, anziché in un pallone, «nella cenere della storia». La Stampa, The Guardian di Londra, Die Tageszeitung di Berlino, El Pais di Madrid, Liberation di Parigi, To Vima di Atene, HaAretz di Tel Aviv, Der Standard di Vienna e altri giornali della rete internazionale «World Media» pubblicano simultaneamente una lettera aperta di Gùnter Grass, messaggio all'autore perseguitato e invito alla solidarietà con lui. [m. c. b.) "771 ARO Salman Rushdie, I ' nel tuo saggio «Mille I giorni sul pallone» pub1 i blicato all'inizio di gen\é I naio per i lettori tedeschi nel settimanale Die Zeit, è proprio impossibile non avvertire la richiesta di appoggio e il forte e disperato grido d'aiuto finale: «Il pallone precipita nell'abisso». Tuttavia io temo che il gran numero di notizie allarmanti che ogni giorno ci incalza e si sottrae alla nostra presa e ancor più al nostro giudizio, finirà per soverchiare il tuo grido, specie in Germania dove da un anno l'affermata unità della nazione si esercita concentrandosi meticolosamente su se stessa. E nessuno ha intenzione di lasciarsi disturbare. Inoltre s'annunciano minacciose da Est e da Sud migrazioni di popoli che vogliono rosicchiare il nostro benessere. Noi come Germani abbiamo appreso sui banchi di scuola come anticamente fossimo di gamba lesta. Perciò sappiamo ciò che è da evitare e ciò che è consigliabile: la fortezza Europa! Per chi si nutre solo di certezze ha scanso valore il lamento di uno scrittore che da indiano afferma di essere inglese, e per giunta è responsabile in prima persona della sua, beninteso, funesta situazione: questa minaccia di morte che risale a quasi tre anni fa. Gran brutta cosa, barbara e deplorevole. Ma che si poteva fare di più? E poi detto fra ipocriti: questo Rushdie non avrebbe potuto scrivere un po' in sordina, con tono più conciliante e, viste le sue capacità, con maggior rispetto? E inoltre questo titolo troppo provocatorio: Versi satanici'. Non sto esagerando. Io stesso ho visto, ben più di una volta, gente che, un po' afflitta e un po' imbarazzata, faceva orecchi da mercante oppure ascoltava ogni sorta di pettegolezzi. Ultimamente è successo alla Fiera del libro di Francoforte, mentre il ministro tedesco dell'Economia preparava il terreno a Teheran per grandi progetti di investimento e la direzione della Fiera voleva premurosamente aiutarlo. (Contrariamente a precedenti assicurazioni la direzione della Fiera del libro di Francoforte del 1991 non si attenne ' al boicottaggio delle case editrici iraniane. Solo dopo violente proteste fu loro ritirato nuovamente l'invito, n.d.r.) E tuttavia, caro Salman, tu non sei solo. Questa lettera e, mi auguro, tante altre, vogliono essere un tentativo di dare impulso al luogo del tuo esilio, la metaforica navicella. Non solo: se sei d'accordo, desidererei essere, per un certo pe- riodo, ospite tuo, compagno di viaggio. Anche se non riuscissimo a ricreare l'allegria dei nostri primi incontri - fu allora quando uscirono in tedesco 7 figli della mezzanotte -, è rimasta la nostra affinità di colleghi e con essa il piacere per il senso e il nonsenso di acrobatici giochi di parole. Un suggerimento può venirci forse dall'immagine riprodotta nel tuo articolo sulla Zeit: gli acrobati di Max Beckmann, un quadro in cui una donna, vista di fronte, sorride sventolando dalla navicella una bandierina, mentre un uomo a testa in giù sembra stia per precipitare. Tuttavia i suoi piedi sono annodati, alla maniera degli acrobati, alla navicella, in modo che egli sarà prontamente in grado di suonare la tromba che ha con sé, lo strumento preferito di Beckmann: una marcia o un corale, un blues o dei segnali, in ogni caso suoni che daranno impulso al pallone. Non sono fórse tali immagini che ci infondono coraggio in una situazione disperata? Immagini che non rinunciano al terrore, che nulla edulcorano, la cui poesia resiste ad ogni prova di durezza. A fine anno vidi in televisione, fra le solite e non di rado quotidiane notizie di catastrofi, un servizio dal fronte della guerra serbocroata. Un soldato croato addobbava, nella ricorrenza della più cristiana delle feste, un albero di Natale appendendo ai rami delle bombe a mano: frutti sodi, decorativi, ornati di fili d'oro e d'argento. Chi pensa in questo caso alla blasfemia, alla bestemmia? Non so che cosa sia passato per la mente di quel soldato. Suppongo che fintanto che la televisione lo riprendeva, si sia particolarmente concentrato sul suo lavoro. Forse ha dovuto ripetere più volte quel gesto perché il cameraman continuava a non essere soddisfatto. Comunque, intenzionalmente o no, quel soldato è riuscito ad esprimere la più recente barbarie del suo e del nostro tempo. Non avrebbe potuto addob¬ bare l'albero di Natale in modo più veritiero. Sono certo: l'uomo di Nazareth, ancor giovane, sui trent'anni circa, questo mite ribelle e irato purificatore del tempio, esperto di scrittura, avversario dei sommi sacerdoti dogmatici, che conosciamo come Gesù Cristo e che in quanto rivoluzionario istigatore è stato rinchiuso nelle chiese per motivi di sicurezza, non avrebbe sollevato alcuna obiezione di fronte a quelle bombe a mano. Gesù Cristo amava le pro¬ vocazioni; perciò sono altresì certo che quell'uomo di nome Maometto, che ci è stato tramandato come profeta, avrebbe letto con piacere i romanzi dello scrittore Salman Rushdie e in particolare i Versi satanici. Il trombettiere di Beckmann che sembra cadere dalla navicella e il soldato che addobba con bombe l'albero natalizio sono nostri fratelli. Chi altri, Salman, chi altri? Noi abbiamo fatto le nostre esperienze con preti e politici. Di loro non c'è da fidarsi molto. Agiscono in base all'interesse. Quando un anno fa iniziò la guerra del Golfo ambedue le parti in causa ritenevano di sapere con precisione ciò che era buono e ciò che era cattivo. Agivano quindi rispettivamente in nome di Dio. Il risultato fu micidiale, i morti un numero sterminato. Nel tuo articolo «Mille giorni sul pallone» tu parli di «consiglieri di sicurezza, governi, giornalisti, arcivescovi, amici, nemici, mullah» che persistono nella loro gretta, assolutistica concezione del mondo che intendono prescriverti. A loro tu contrapponi «l'immagine metaforica, incerta, indeterminata», che ti sei portato in giro per l'esistenza e che ti rende vulnerabile. Alla fine tu ritieni di dover continuare a seguire con ogni mezzo quel «suscitatore di immagini» che è la tua anima e il suo «malvagio, iconoclasta, imprevedibile folle istinto». Tu parli di un «sudicio oceano» in cui sei andato in cerca della tua arte ed evochi ancora una volta il mare agitato ai piedi della città di Bombay: «E' il mare sulla cui riva io sono nato e che mi porto dentro dovunque io vada». Molti anni fa, caro Salman, avemmo un colloquio in televisione, fra l'altro sulla tua perduta Bombay, sulla mia perduta Danzica. Ci riconoscemmo reciprocamente nella comune esperienza della perdita che ci aveva resi loquaci. La perdita è la premessa delle nostre storie. Continuiamo dunque a pescare parole, tu nel tuo sudicio tempestoso Oceano Indiano, io nel mio Mare del Nord pieno di veleni, parole «contro», che raccontano molte realtà e non sopportano che solo la realtà che ci è imposta abbia valore. Ti prego di credermi che io cerco di prendere parte alle tue quotidiane angosce e alle tue illusorie speranze, anche al tuo coraggio estorto alla paura. Ti saluto nella tua navicella. Il tuo Gùnter Grass (Traduzione di Luigi Forte) Peschiamo parole, tu nel tuo sudicio Oceano Indiano, io nel mio Mare del Nord avvelenato: parole «contro», che raccontano molte realtà e non sopportano che solo la realtà imposta abbia valore. Prendo parte alle tue angosce, anche al tuo coraggio estorto alla paura Grass (a sinistra) scrive a Rushdie: «Tu ritieni di dover ancora seguire con ogni mezzo quel "suscitatore di immagini" che è la tua anima e il suo "malvagio, iconoclasta, imprevedibile folle istinto"».