Periferie e montagne dove abita il silenzio
Periferie e montagne dove abita il silenzio Ad Alessandria 50 paesaggi di Mario Sironi Periferie e montagne dove abita il silenzio E~|1 ALESSANDRIA j in corso alla sala d'arte contemporanea di Palazzo Guasco (fino al 25 feb braio) la mostra Sironi- paesaggi, a cura di Francesco Gallo (catalogo Fabbri Editori). Si tratta di una cinquantina di opere, prevalentemente ad olio, rigorosamente scelte sul soggetto del paesaggio, che mettono giustamente in rilievo il tema della «periferia» e quello straordinario della «montagna». Sappiamo che Sironi esordì come pittore, interrompendo i suoi studi di ingegneria a Roma, e preferì frequentare l'Accademia di Belle Arti e lo studio di Balla, dove incontrò Beverini e Boccioni, e con quest'ultimo si recò a Parigi e in Germania (1908), arricchendo così molto il suo patrimonio culturale. Afflitto da forti crisi depressive, che lo tormentarono pù volte nel corso della sua vita, smise di dipingere per qualche tempo, ma, dal 1912 al 1919, tornò a frequentare Boccioni che lo indusse a partecipare al «movimento futurista». Intervenne a parecchie di queste manifestazioni, ma non ne condivideva totalmente la poetica e ne diede un'interpretazione singolare ed eterodossa, poiché il suo movimento delle forme e delle cose era affidato più al colore scuro e molto espressivo (o meglio espressionista) che non alle linee dinamiche, o al volume degli oggetti e delle figure (si veda Paesaggio urbano con cavallo, cavaliere e mendicante, del 1920). Ben presto il suo futurismo si tinse anche dell'esperienza «metafisica» di Carrà e di de Chirico. Il 1919 è pure l'anno dell'arrivo di Sironi a Milano, città amata e odiata, anche se nello stesso tempo conobbe, e frequentò, il salotto di Margherita Sarfatti, e partecipò alla nascita del gruppo del «Novecento», di cui firmò il manifesto, nel 1920, con Funi, Russolo e Dudreville. Non c'è dubbio che i temi della pittura di Sironi furono molti, ma quelli che ci affascinano di più si legano strettamente al «paesaggio urbano», in cui cerca di cogliere una visione storicizzata, e quasi antica, della moderna periferia industriale, squallido recipiente materiato di cose e tradizioni (Periferia, 1922). Sono periferie disperate e fitte di silenzi clamanti, di costruzioni oppressive. Le stazioni, le cinture ferroviarie, i viadotti, i gasometri, i capannoni bui dei depositi, il fumo dei treni diventano un poema che canta il senso di un'angosciosa e invalicabile solitudine. Tutto questo compare già nelle pagine di Zola, di Oriani e di tanta altra letteratura di quel periodo, ma Sironi incastra tutto questo in un bisogno di ordine, che rispecchia il suo orientamento psicologico e politico. Ma ciò che affascina in questa rassegna alessandrina è una stupenda sequenza di quadri dedicati alla «montagna». Si tratta di montagne assai diverse da quelle, colte in via di sparire nel movimento del verde e del cielo, di Cézanne. Sono tenute insieme da un contorno pesante, inciso, quasi modellate con le mani nella creta, mentre i colori sono caldi e profondi, ma duri e solidificati, pur riuscendo a costruire un tessuto di relazioni tonali. Ogni forma esiste in una condizione di irrelatività e di dramma, così da ricordarci Vlaminck e Permeke - accolti da Sironi solo in funzione di questa cupa concezione delle cose - anche se il sapore terragno, e vagamente metafisico, ci riporta prima a Masaccio, e poi a un certo primitivo Carrà. Il tono oratorio risulta in questo caso ben dissimulato da una concisa asprezza espressionistica, salvo poi - quando la pittura acquista la bidimensionalità di un bassorilievo - evidenziarsi un clima arcaico, dove affiora il culto dell'antico e della mediterraneità. Non c'è dubbio che un simile interesse per il paesaggio montano era segno di una profonda partecipazione per i simboli romantici della vita e della morte, e scaturiva da un desiderio di intensa e contrastata identificazione con la natura. Le alte cime scintillanti di neve, o avvolte nel buio di una notte di tregenda, disertate dall'uomo, frequentate da leggende fascinose, ispiratrici di poeti e pittori, non potevano che essere un simbolico, e sofferto, legame tra il cielo e la terra. Se la montagna è stata per molti artisti simbolo di una serena evasione dalle miserie della vita quotidiana, per Sironi il problema era diverso, egli ambiva con queste forme rudemente abbozzate, con queste forme piramidali incise nella materia cupa e misteriosa, evocare relitti archeologici e geologici affiorati da imprecisabili profondità della storia. Sironi ci mostra, con la sua nostalgia ossessiva e regressiva, di voler riscoprire significati assenti nella società, così da arrivare ad una sua visione totale della vita, [m. v.J Stazioni, ferrovie egasometri diventano poemi della solitudine «Periferia» (1922), un carboncino su cartone di Mario Sironi e l'artista in una foto degli Anni Cinquanta
Luoghi citati: Alessandria, Germania, Milano, Parigi, Roma
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