Il G7 a Roma: basta col deficit di Stefano Lepri

Il G7 a Roma: basta col deficit Nel documento finale l'Italia è di nuovo la sorvegliata speciale dei Sette Il G7 a Roma: basta col deficit Egli Usa credono nella ripresa economica NEW YORK DAL NOSTRO INVIATO «Maggior impegno per una politica di crescita economica» è il risultato della riunione dei sette grandi Paesi industriali, nelle parole del segretario al Tesoro statunitense Nicholas Brady. Ma in che modo? La ricetta della crescita sembra essersi persa, tra il vago accordo su alcuni assunti basilari che ognuno poi continua a trasgredire e lo sconforto perché i vecchi rimedi non funzionano più. Così il comunicato finale del G-7 tenuto a Garden City, Long Island, New York, è un centone di capoversi prefabbricati dove ciascuno dei sette governi mostra che ce la sta mettendo tutta, e di contorte formule di compromesso degne della nostra Montecitorio. I punti chiari sono: 1) la Germania non ha nessuna intenzione per ora di ribassare i suoi alti tassi di interesse, che disturbano gli Stati Uniti come gli altri Paesi europei; 2) nulla vieta che gli Stati Uniti decidano nell'arco dei prossimi 30 giorni un'ultima riduzione del loro già basso tasso di sconto; 3) per ora non ci sarà alcuna modifica delle parità all'interno del sistema monetario europeo. Politica monetaria stretta e lira stabile sono l'immediato futuro dell'Italia, come del resto è scrìtto nella parte del comunicato che ci riguarda. ((Appena necessario» il governo italiano deciderà una manovra economica correttiva per assicu- rare il rispetto degli obiettivi della legge finanziaria '92. Nessuno aveva previsto che questa volta il G-7 (vertice dei ministri del Tesoro e dei governatori delle banche centrali di Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia e Canada) avrebbe valutato in dettaglio la situazione di ciascuno dei Paesi componenti. Il paragrafo dedicato all'Italia si distingue dagli altri 6 per la presenza del verbo «deve» e per frasi piuttosto nette, che suonano come consigli. Nello stesso tempo rivela la mano del nostro ministro del Tesoro, Guido Carli. Dato che si va incontro a un periodo di accentuata instabilità politica, Carli con tutta evidenza ha cercato un appoggio internazionale alle proprie scelte. Ciò che «deve» rimanere immutato, negli auspici del G-7, è «l'attuale impostazione della politica monetaria e del cambio». «Pietra angolare» della politica economica è «la riduzione del deficit di bilancio». Con una formula ancora più esplicita, «i ministri e i governatori salutano con favore l'intendimento del governo italiano di contenere gli stipendi del pubblico impiego entro i limiti stabiliti dalla legge finanziaria, e di ridurre la presenza dello Stato nell'economia». Rinnovi contrattuali dei dipendenti pubblici e privatiz¬ zazioni sono i due punti su cui la politica di Carli potrebbe essere contraddetta da altri membri del governo. Lo stesso ministro del Tesoro ha sottolineato ai giornalisti questi punti prima di salire sull'aereo che lo ha riportato a Roma. «Guardate - dice indicando il testo ufficiale - la lingua inglese usa questa espressione, reduce the size ofthe government in the economy: ridurre le dimensioni del governo». La formula usata per i contratti del pubblico impiego è più energica di quella destinata alla Germania (per la quale il G-7 «esprime la speranza di una moderazione salariale») benché dall'esito dei rinnovi contrattuali tedeschi dipenda, a causa del rigore della Bundesbank e della forza del Deutsche Mark, la politica monetaria di tutto il continente. Nei paragrafi dedicati alle altre nazioni si legge soprattutto l'elenco di quanto i governi stanno facendo nel tentativo di stimolare la ripresa economica. E' una collezione di misure disparate, dalla riqualificazione dei lavoratori in Canada alla spesa degli enti locali in Giappone, dagli incentivi alle tecnologie avanzate in Francia agli sgravi per l'edilizia residenziale in Germania. Del resto, ilJVew York Times rivelava ieri che George Bush pensa di abolire la tassa sugli yacht. E un rimedio eretico come l'irrisorio tasso di sconto Usa è accettato dagli altri perché, come spiega Carli, la difficoltà americana a uscire dalla crisi è legata all'alto indebitamento delle famiglie e delle imprese, «come dopo il '29». Intanto la ripresa non arriva e leggendo i comunicati delle successive riunioni del G-7 (i cui membri rappresentano, in cifre, oltre metà dell'economia mondiale: 27% solo gli Usa, 15% il Giappone, 4,5% l'Italia) si compone l'immagine di una marcia a ritroso. Riunione di Londra, 23 giugno '91: i sette «notano con soddisfazione i crescenti segni di una ripresa economica mondiale». Bangkok, 12 ottobre '91: «La ripresa è in arrivo negli Stati Uniti e in Canada», «la crescita dovrebbe riprendersi in Francia e in Italia». Ora «le forze che hanno impedito la crescita si stanno dileguando»: sempre più indietro. Forse però adesso la «ripresa più stra-annunciata che si ricordi», come la definisce un economista americano, arriverà sul serio. I tedeschi si difendono dall'ostilità degli altri Paesi verso i loro alti tassi sostenendo che il loro Paese, che non ha conosciuto recessione, continuerà a crescere sia pur più lentamente nel '92. Ma sono rimasti male quando nella riunione anche il direttore del Fondo monetario, il francese Michel Camdessus, ha espresso qualche dubbio sulla loro politica monetaria. Stefano Lepri

Persone citate: Carli, George Bush, Guido Carli, Michel Camdessus, Nicholas Brady