«Il mio sogno? Ministro dello Cultura» di Enrico Manca

«Il mio sogno? Ministro della Cultura» L'ADDIO A VIALE Il presidente vuole tornare alla Camera: meglio «peone» in politica che famoso con la tv «Il mio sogno? Ministro della Cultura» Manca: perché lascio la Rai SROMA TA come un califfo Enrico Manca al settimo piano di viale Mazzini. Domina il cavallo di Messina da sale ovattate, percorse lievemente da solerti collaboratori e premurose collaboratrici. Ha tutto: potere, denaro, celebrità. Secondo un recente sondaggio è al settimo posto tra gli italiani più famosi, precede anche Romiti, come ama ricordare con qualche civetteria. E' proprio vero che l'animo umano è indecifrabile. Come si fa a rinunciare a tutto questo per tornare a Montecitorio a fare il peone o, nel migliore dei casi, alla guida di un ministero di serie B? Eppure, è ciò che Manca si appresta a fare: tra pochi giorni darà le dimissioni da presidente della Rai per presentarsi il 5 aprile candidato alla Camera nel suo collegio umbro. E allora, onorevole Manca: perché? Va bene, lo ammetto, è bello fare il presidente della Rai e ne avrò nostalgia. Ma cinque anni possono bastare a uno come me che si considera prestato dalla politica all'impresa pubblica. Tanto che non ho mai cessato di curare il mio collegio elettorale. Con i soldi della Rai spesi per «Umbriafiction»? Quest'accusa è ridicola. Si poteva fare «Campaniafiction» o «Lombardiafiction», ma perché non «Umbriafiction»? Se poi si dice che per mia utilità elettorale sono riuscito a mettere insieme tutta l'industria audiovisiva del mondo, allora devo congratularmi con me stesso, sono «Mandrake». Lei non è un craxiano a denominazione d'origine: tornando in politica, non teme di restare a piedi fra tanti pretendenti? Non sono un craxiano «Doc» né un portaborse, ma ho costruito con Craxi un rapporto leale, di convinta solidarietà. Perciò credo proprio che lui metterà a frutto le mie esperienze. Ma non vorrei fare la ricottina. Cos'è che non vuol fare, onorevole Manca? Non voglio fare come quel villico che va verso il mercato per vendere la ricottina che tiene in testa e dice tra sé: ora vado al mercato, vendo la ricottina a buon prezzo, poi mi compro un gregge, produco latte, divento ricco e faccio il latifondista. Prima di arrivare al mercato, la ricottina di quell'uomo cadde e si spiaccicò per terra. E' vero che pensa alla creazione di un «Minculpop» Anni Novanta? Proprio il contrario del «Minculpop» e cioè un ministero per la Produzione culturale, referente dell'informazione, della cultura e della televisione. Oggi le competenze sono disseminate: Poste, Partecipazioni Statali, Turismo e Spettacolo. . Questi ultimi due ministeri vanno aboliti e il Turismo va accorpato con l'Industria. Lei dove lo metterebbe Craxi, a Palazzo Chigi o al Quirinale? Dipende dal risultato elettorale e comunque, come ogni stratega, terrei aperte le due strade. Personalmente penso che a Palazzo Chigi Craxi abbia dato il meglio di sé e che debba tornarci con la stessa forza e la stessa fortuna. Il psi ha fatto bene a porre subito la candidatura: è un segnale chiaro per il Paese. E al partito? Si può pensare a un segretariato, una segreteria collegiale con un primus interpares e un presidente non simbolico. L'abbraccio con Cossiga non danneggerà elettoralmente il psi? Il presidente ha inserito un elemento di dinamicità per le riforme istituzionali, anche se con qualche esagerazione. Il problema è vedere dove confluirà elettoralmente il «partito di Cossiga». Nel msi e nelle Leghe? Sventolare Cossiga in piazza è una bricconata di Fini. Non credo che i voti cossighiani finiranno lì. Né penso che saranno un'onda a favore del mio partito. Spero soltanto che quei voti non vadano a Bossi. Basta: sembra già di sentir parlare un politico in servizio attivo invece che un manager pubblico. Qual è l'identikit del suo successore alla Rai? Non si può fare perché prima ci vuole la riforma della riforma. Oggi il consiglio d'amministrazione viene nominato dalla commissione parlamentare di vigilanza con un meccanismocapestro. Questo sistema va cambiato. Si potrebbe passare alla nomina da parte dell'Ili invece che del Parlamento. L'unico rischio è di riportare la Rai sotto l'influenza diretta dell'esecutivo. E allora come correttivo si può pensare a un comitato parlamentare ristretto e molto autorevole con parere non vincolante sulle nomine, voto non cogente sul bilancio e competenza sulle linee di politica industriale anche per il sistema privato. Ma ci sono anche altre possibili soluzioni. Per esempio? Una Rai sul modello della Banca d'Italia o dell'Enel, un ente pubblico con elementi privati¬ stici e con un direttorio nominato sulla base di una rosa presentata dai presidenti di Camera e Senato. Oppure? La soluzione migliore sarebbe disarticolare l'In, che oggi è un grande calderone e che invece dovrebbe essere diviso per gruppi omogenei. Se Tiri fosse un ente autonomo come la Banca d'Italia, allora si potrebbero mettere insieme Rai e Stet e farne una grande finanziaria. D'accordo Manca. Ma Ottaviano Del Turco, il candidato più gettonato alla sua successione, le sembra adeguato? Ha vocazione culturale, attenzione ai problemi della comunicazione, capacità di mediazione. Sa anche esternare: fin troppo. Ma non sarà il solo candidato. La riforma della Rai doveva far fiorire i cento fiori e invece ha fatto fiorire soltanto lotti d'influenza politica. Questo è ingeneroso. I fiori son fioriti, ma adesso sono un po' appassiti. Li chiama un po' appassiti? I tre telegiornali sembrano bollettini parrocchiali. Non è vero, non sono bollettini, nonostante siano troppo collegati alle rispettive aree politiche. Certo se si vedessero meno riunioni di partito con l'acqua minerale in primo piano e i politici senza voce che muovono la bocca come pesci in un acquario sarebbe meglio. La tv dev'essere immagine e diretta e i tg non devono rappresentare aree politiche, ma target diversi di pubblico, come avviene per i giornali di una stessa casa editrice. Un tg politico, uno di cronaca, uno di cultura. Come ex giornalista quale dei tg preferisce? Apprezzo il Tgl per la completezza, il Tg2 per l'originalità di alcune notizie e il Tg3 perché è ben fatto. Insomma, preferisce Cur- zi? Non mi faccia fare classifiche. E il celebrato Mentana? Fa un tg che allarga la platea senza togliere ascolto alla Rai. Che cosa pensa del caso Biagi-Cossiga? Biagi ha avuto una defezione improvvisa, ma ha sbagliato: non doveva utilizzare il mezzo per fare un attacco a Cossiga. Doveva limitarsi a raccontare i fatti. Lei ci andrebbe a «Crème Caramel»? Ci sono già andato. Ma lei non era l'avversario della tv nazional-popolare di Pippo Baudo ? Sì e i fatti mi hanno dato ragione. Basta vedere com'è cambiato Fantastico. Anche Baudo si è rinnovato, è un professionista. Il 6 gennaio 1987 mi attaccò pubblicamente in trasmissione. Io ero a Parigi e lo seppi da Craxi, che mi telefonò nottetempo e mi disse: «Ma com'è possibile che un tuo dipendente ti attacchi pubblicamente?». Poi Baudo ha saputo riciclarsi. Ma non basta: ci vogliono idee nuove e uomini nuovi. Io assumerei subito quaranta o cinquanta giovani creativi. Non bisognerebbe invece licenziare metà dei 13 mila dipendenti Rai? L'azienda è appesantita di personale, ma la Rai non può fare ristrutturazioni selvagge come gli imprenditori privati. Si potrebbe attuare un programma di prepensionamenti. Nonostante i 13 mila dipendenti gli appalti esterni corrono per centinaia e centinaia di miliardi, con abusi evidenti. Oggi si favoleggia del «Rossini, Ros- sini», ribattezzato «Arnaldo, Arnaldo», dal nome di battesimo del segretario democristiano. Se mi risultassero abusi li denuncerei alla procura della Repubblica. Comunque in questi giorni è entrata in vigore una nuova normativa che rende gli appalti più trasparenti. Lei lascia alla Rai debiti per 1250 miliardi. Sì, ma anche un magazzinoprogrammi cresciuto di 788 miliardi e il centro di Grottarossa. Che di subappalto in subappalto è arrivato a costare 650 miliardi. Sì, un po' troppo. Colpa di Pasquarelli? Per carità, Pasquarelli è fin troppo attento ai problemi di bilancio. E anche a quelli di censura: dalle scollature delle signorine buonasera fino all'abolizione dei sondaggi- Su alcune «censure» di Pasquarelli io non sono stato affatto d'accordo. Per esempio, in consiglio d'amministrazione ho difeso Samarcanda, nonostante veda benissimo le sue distorsioni informative. Lei sta per andarsene, ma pensa che si debba fare il film su Per tini? Voglio bene a Carla Ferrini, ma in questo caso ha torto. Il film si deve fare, l'importante è come si fa. Non dev'essere un'operazione propagandistica. Quale consiglio lascia in eredità? Non abbandonare la Rai nell'incertezza, se no Berlusconi se ne avvantaggerà. Lei non era la quinta colonna dell'uomo di Arcore? Così scrisse il Popolo, ma credo di aver dimostrato il contrario, tanto da poter dire che oggi con Berlusconi si deve collaborare: nel satellite, nelle nuove tecnologie, nella pay tv. Se no il mercato diventerà selvaggio. Alberto Staterà «Siamo troppi ma non possiamo licenziare in massa cornei privati» «Pasquarelli? Bravo ma a volte esagera Alcune sue censure non mi piacciono» Enrico Manca (nella foto grande) Da sinistra: Silvio Berlusconi e Gianni Pasquarelli direttore generale della Rai A sinistra: Ottaviano Del Turco uno dei candidati alla successione di Manca. In basso: Pippo Baudo

Luoghi citati: Arcore, Messina, Parigi