In briciole la Grande Russia di Ehsin

In briciole la Grande Russia di Eltsin Dall'Europa all'Asia rivendicazioni a catena, le Repubbliche ricche vogliono andarsene In briciole la Grande Russia di Eltsin Sono 38 le minoranze che reclamano l'indipendenza E Mosca perderebbe l'accesso all'Artico e al Pacifico MOSCA DAL NOSTRO INVIATO Il parlamento russo ha suonato le sue trombe (mettendo in dubbio la legittimità dell'appartenenza della Crimea all'Ucraina) e l'Ucraina ha risposto suonando le proprie campane. «Respingiamo - replica il ministro degli Esteri Zlenko - ogni pretesa territoriale, da qualunque parte provenga». «Siamo di fronte commenta il quotidiano Nezaviziamaja Gazeta - a una crisi politica a tutto campo tra i due maggiori Paesi della Comunità». Ma nonostante le solenni dichiarazioni di Alma Ata sull'intangibilità delle frontiere, com'era fin troppo prevedibile, il groviglio delle rivendicazioni territoriali e di una diaspora che sembra inarrestabile sta aggravandosi simultaneamente in tutte le direzioni e sotto tutte le latitudini dell'ex Urss. La Russia pretende la Crimea? Bene. Il parlamento lettone esige dalla Russia la restituzione di uno spicchio della regione di Pskov, il distretto di Abrenskij. Sembra uno scherzo e non lo è affatto. E si tratta solo degli ultimi segnali, in ordine di tempo, di una paurosa slavina che non solo sta facendo crollare l'appena nata Comunità di Stati Indipendenti (Csi), ma investe ormai la stessa Federazione Russa. Anche qui vale il proverbio: chi di spada ferisce... La Russia e il suo profeta Eltsin hanno abbattuto l'Urss a colpi di sovranità. E ora le entità nazionali della Russia chiedono a Eltsin la stessa, identica cosa. Perfino il parlamento della finora quieta Karelia ha proclamato, nei giorni scorsi, la sua intenzione di uscire dalla Federazione Russa. Russi, ma confinanti con l'Eldorado finlandese. Così come russi, ma sempre più ansiosi di saltare dalla barca che affonda, sono i sostenitori degli «Stati Uniti dell'Asia del Nord», un nuovo Stato che dovrebbe occupare tra la metà e i due terzi dei 17 milioni di kmq della Russia: dagli Urali, alla Siberia, all'Estremo Oriente ex sovietico. Neanche questo è uno scherzo. Esiste un movimento d'opinione che si va facendo sempre più vasto e che si nutre delle aspirazioni autonomistiche e indipendentistiche che gorgogliano dovunque nel «Grande Nord». Sanno di disporre di larga parte delle immense ricchezze naturali dell'ex Urss, pensano di essere stati sfruttati da Mosca, vogliono diventare ricchi come Alaska e Canada. In pratica tutte le entità amministrative autonome della Russia hanno già proclamato la loro sovranità. Ultimi arrivati i 100 mila abitanti del distretto Jamalo-Nenets, costituitisi in «repubblica» a metà gennaio e che si sono dotati d'un parlamento bicamerale. Hanno 750 mila kmq di territorio e vogliono godersi i proventi del 70% del gas naturale che si estrae in Russia. E sono in gran parte russi. Dunque le tendenze centrifughe non sono più soltanto di origine etnica, ma stanno minando dall'interno la stessa etnia russa. Identica conclusione riguarda la Repubblica di Komi, proclamatasi indipendente nell'agosto '90 e che considera di sua proprietà tutte le ricchezze del sottosuolo. Più o meno come la repubblica di Jakutia (3 milioni di kmq) che a settembre ha scelto anch'essa la libertà (anche se, per ora, dentro la Federazione Russa). Che cosa resterebbe della antica Russia? Niente più accesso all'Oceano Glaciale Artico (salvo un corridoio sul mare di Barents); niente più frontiere con la Cina; un microscopico sfogo sul Mar Nero, in quel di Novorossijsk; nessuno sbocco sull'Oceano Pacifico. Una prospettiva che cancellerebbe la Russia dal novero delle potenze mondiali e la ridurrebbe a stato europeo di medie dimensioni. Esiti che oggi sembrano fantastici, ma che potrebbero diventare molto reali se il potere russo non sarà capace di trovare una soluzione. Il groviglio, infatti, è ancora più grave di quanto appaia a prima vista. E' ben vero che l'83% dei 150 milioni di cittadini «russi» è di nazionalità russa, ma 38 minoranze nazionali sono maggioranza relativa nei loro rispettivi territori. La fascia «russa» del Caucaso del Nord è già in piena ebollizione. La repubblica dei Ceceni si è già dichiarata «fuori» dalla Russia e ha richiamato i suoi deputati dal Parlamento di Mosca. Gli ingusceti, espulsi dalla Cecenia, si stanno autonomizzando. Kabardini e Balkari, per ora uniti in una stessa repubblica, sono già sul piede del divorzio tra loro e, in prospettiva, dalla Russia. Il Daghestan, crogiuolo di nazioni, mostra le prime turbolenze, risentendo fortemente dell'attrazione musulmana e turca. E il «panturchismo» non riguarda soltanto le quattro repubbliche di lingua turca dell'Asia Centrale (Kazakhstan, Turkmenia, Kirghisi a e Uzbekistan). Alla recente «assemblea panturca» di Alma Ata hanno preso parte rappresentanti ufficiali del Tatarstan e della vicina Bashkiria. L'uno e l'altra sono repubbliche della Federazione Russa che hanno già proclamato la loro sovranità, e che manifestano forti inclinazioni alla piena indipendenza. Il venir meno del centro russo, dopo quello sovietico, finirebbe per accentuare l'assorbimento, all'interno di una prospettiva panturca, asiatica, di repubbliche che si trovano al centro dell'antica Russia, lungo il corso del Volga. Anche queste non sono fantasie, e neppure novità. Tatarstan e Bashkiria, all'inizio degli Anni 20, furono parti attive nel tentativo di costituire uno «Stato comunista panturco» che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto diventare parte della futura Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Questo è lo «Stato delle cose correnti» nella Federazione Russa, che qualcuno, a Mosca, pensa debba restare «unita e indivisibile». Ma altri dicono che sia venuto il tempo di ritirarsi su frontiere più realistiche. Giuliette Chiesa

Persone citate: Eltsin, Giuliette Chiesa, Zlenko