Sacchi, dall'Africa nera con nostalgia

Sacchi, dall'Africa nera con nostalgia Il tecnico ritorna oggi in Italia e domani assisterà alla partitissima Fiorentina-Juventus Sacchi, dall'Africa nera con nostalgia «Qui il calcio è gioia» DAKAR DAL NOSTRO INVIATO Tornerà ad intossicarsi, come il fumatore che al decimo giorno di astinenza riaccende una sigaretta e poi ne fuma un pacchetto. Sacchi doveva ancora lasciare l'Africa e già gli arrivavano gli strilli dell'ultima dichiarazione di Matarrese: «Se andiamo agli Europei e perdiamo non chiedetemi la testa del citi», aveva detto don Tonino. «Io sono tranquillo perché con Matarrese c'è lo stesso rapporto del primo anno con Berlusconi. E di allenatori decapitati non ne ho mai visti. Al massimo li licenziano», è stata la risposta divertita dell'Arrigo. Nulla di clamoroso. Ma anche l'avvisaglia di un ritorno a parlare delle solite cose. Domani Sacchi riprenderà la frequentazione del calcio italiano, cominciando da Fiorentina- Juve: non poteva scegliere per la rentrée una dimensione più lontana dal football che ha visto a Dakar. E forse la rimpiangerà un pochino. «Ho riscoperto un pubblico che tifa per la propria squadra ma applaude chi gioca meglio - ha raccontato il citi, prima di imbarcarsi ieri sera per Roma -. Si sorride, si canta, si suona, si sta insieme. E' uno spettacolo molto bello». Ma l'Africa del pallone sconta in altro modo questa felicità ingenua. La Coppa, che si conclude domani con la finale tra il Ghana e la Costa d'Avorio, ha dimostrato che è ancora grande la differenza con il calcio europeo. E chi cerca di annullarla si snatura. L'esempio viene dal Camerun. «L'ho visto forte e ben organizzato in campo. Però ha perso la freschezza e la vivacità dei Mondiali. Non crea più il pathos. Il suo cambiamento è stato radicale e dimostra come la ricerca del tatticismo non sia sempre un fatto positivo, se lo si usa per distruggere e non per co¬ struire». Insomma la ricetta per migliorare non è così semplice come si vuol fare credere. Anche se i progressi sono evidenti. Sacchi rammenta una telefonata di Allodi. «Era l'84. Mi disse che il calcio del futuro era nell'Africa. Io, che con la Primavera della Fiorentina avevo appena battuto l'Algeria per 6-0, gli risposi che mi sembrava un futuro lontanissimo. In otto anni le distanze si sono ridotte. Guardando la partita del Ghana contro il Congo mi chiedevo quante Nazionali europee sarebbero riuscite a batterlo facilmente, giocando qui. E non mi sono dato una risposta. Sono cambiate molte cose. Ho visto la Costa d'Avorio provare in allenamento i cinque attaccanti contro i quattro difensori come facevo io al Milan. Si impara anche qui. E in fretta». Eppure l'impreparazione degli allenatori è uno dei mali del calcio africano. «Qui si lavora in una situazione difficile. Ma l'altro giorno quando spiegavo il pressing all'assemblea dei tecnici mi sembrava che sapessero bene di cosa parlavo, non come i giapponesi che mi guardavano come un Ufo. Anzi, mi chiedevano quand'è che la Nazionale saprà giocare come il Milan. Non vorrei avergli confuso le idee». Un problema è anche la razzia di talenti fatta dagli europei. «Se nel calcio contano i giocatori, è un vantaggio mandarli in Europa. Se conta anche costruire un gioco d'insieme probabilmente è uno svantaggio. Ma non voglio radicalizzare: i tedeschi in Nazionale hanno mantenuto le loro caratteristiche affinandole con le esperienze fatte all'estero. Se gli africani avranno la stessa maturità non vedo il pericolo». A proposito, si è sempre detto che gli africani non sono maturi per il nostro campiona- to. Che ne pensa? «Ho visto grosse individualità. Pelò lo conoscevo, per me fu un tormento quando giocò contro il Milan. Qui l'ho visto giocare per se stesso, più che per la squadra come fece con il Marsiglia, ma è tra i grandi talenti mondiali. Porto in Italia un bel blocco di nomi: Yeboah, Pagai, questo Aborrali del Ghana. Ho visto meno Lamptey, che non ha dato quanto poteva dare». E le società italiane supereranno la diffidenza verso gli africani? «Il nostro è un mondo che procede lentamente, ma procede. Io poi comprerei pure i cinesi se sapessi che sono bravi». I nostri club però vorrebbe-; ro prendere degli africani giovanissimi per formarli. Sembra giusta a Sacchi una tendenza di questo tipo? «Quando lavoravo al settore giovanile vedevo quanto fosse difficile inserire un ragazzo che veniva da un'altra regione. Prenderne uno dall'Africa mi sembra che moltiplichi i problemi professionali e di inserimento sociale. Un conto è portarli a 24 o 25 anni, un altro a 16 o anche me¬ no: insomma dovrebbe esserci un limite altrimenti si finisce per giustificare tutto in ragione di un diktat economico». Forse i nostri club dovrebbero creare dei vivai in Africa. «Ecco, mi sembra che la formula ideale sia nella cooperazione. E nel rispetto. Non solo nel calcio. Ho scoperto quanto questa gente, poverissima, abbia un senso molto sviluppato della civiltà e della dignità. E' un nostro errore pensare che siano molto distanti da noi». Marco Ansaldo «Pare un sogno: la gente applaude chi gioca meglio, si canta, si suona» «Camerun forte ma meno vivace perché ora ricerca troppo la tattica» Sacchi (sopra) ha ammirato molto Pelé (a lato), l'attaccante del Ghana che, squalificato, non giocherà la finale con la Costa d'Avorio