I naziskin dalla violenza alle lacrime

I naziskin dalla violenza alle lacrime Le indagini rivelano vite disperate, molti giovani sono stati abbandonati dalla famiglia I naziskin dalla violenza alle lacrime Accusati di tentato omicidio crollano davanti al giudice ROMA. «Famiglie disastrate, che hanno abdicato alle loro responsabilità. Nessuno chiede conto ai figli. E quelli fanno cattivi incontri...», il vecchio poliziotto scuote la testa. Conosce bene il mondo dei naziskin. Ha acciuffato quelli di Colle Oppio. Li ha interrogati. E' entrato nelle loro case. E ora prova soltanto una grande compassione per i «ragazzini» con la testa rapata che ha fatto accompagnare in carcere. «In questura, soltanto pochi di loro hanno conservato gli atteggiamenti spavaldi, Gli altri erano impauriti e hanno parlato subito». Mostravano facce pallide, l'altra notte mentre li portavano in carcere, gli undici naziskin che lunedì notte avevano aggredito e accoltellato due extracomunitari in un parco. E dai loro racconti emergono brandelli di storie catalogabili come «orrido metropolitano». Materia delicatissima da trattare, sulle pagine di un giornale: famiglie sfasciate, ragazzi che trascorrono il loro tempo al bar e alla sala giochi, scuole abbandonate. E c'è di peggio, nel caso di una ragazza giovanissima: foto pornografiche per casa, un amante della madre che ha troppe «attenzioni» anche per lei, clima torbido in famiglia. Ma la banda rionale dei naziskin' raccoglieva un po' di tutto. C'era il ragazzo di estrazione borghese - la mattina in un istituto scolastico di recupero, il pomeriggio al lavoro nel negozio del padre - che ora ha gettato la famiglia nello sgomento. E c'erano i due fratelli che hanno respirato fin da piccoli l'odio razziale: i genitori, portieri di uno stabile di piazza Vittorio, quartiere da anni alle prese con gli .immigrati, sostengono di «essere assediati dai marocchini». . n $men,trei$cusano i figji, danno credito alia storia fantastica della ragazzina aggredita dagli extracomunitari. «Mio figlio s'è messo in mezzo - dice la madre - per una causa giusta». Ma la storia che emerge dagli interrogatori, invece, è molto diversa. All'origine della «spedizione punitiva» c'era uno sgarbo del giorno prima. Uno o due naziskin avevano avuto a che dire con un gruppetto di immigrati, nel parco di Colle Oppio, per via di qualche spinello. Hanno litigato e hanno avuto la peggio. Da qui l'idea di un raid con i bastoni. La sera stéssa - domenica 19 - nel bar di via Panisperna che era un po' la «tana» del gruppo, hanno raccontato la storia della ragazzina aggredita. A quel punto c'è voluto ben poco a rastrellare una ventina di «teste rapate» per impartire ai tunisini la lezione esemplare che «meritavano». E a qualcuno non è stato neppure necessario raccontare la favoletta. Gli hanno detto: «Preparati, stanotte andiamo a bastonare i negri che spacciano». E quello non è mancato. Non c'è una salda radice ideologica, insomma, dietro l'aggressione. E non c'è una vera organizzazione. «Sono bande - racconta il giudice Pietro Saviotti, che cura l'inchiesta ed è uno specialista di reati politici dell'estrema destra - non numerosissime, con uno o due capi per gruppo. Non accettano facilmente una disciplina di movimento. E sono sostanzialmente incontrollabili dai un partito. Non hanno sedi. Si ritrovano più che altro in birrerie e sale giochi. Ma c'è da dire che la Digos romana non li ha mai sottovalutati». Ieri il giudice Saviotti ha formulato le sue richieste al giudice per le indagini preliminari. E per tutti e otto gli indagati maggiorenni - i minorenni «fermati» sono quattro, visto che nel frattempo, ieri mattina, un altro diciassettenne con la testa rapata, già conosciuto come tifoso violento, s'è costituito alla polizia - l'accusa è «tentato omicidio». Ma la banda non finisce qui. Il «capo», quello che ha pianificato l'aggressione e ha sobillato gli altri, manca ancora all'appello. Con lui, sono scomparsi in cinque o sei. Potrebbero essere i più pericolosi, quelli che avevano messo mano al coltello: per questo motivo, Digos e carabinieri li stanno cercando attivamente per Roma negli ambienti dei naziskin. Altri quattro aggressori, intanto, sono stati individuati: avrebbero ricoperto un ruolo minore, però, partecipando sol- tanto alla sassaiola e non alla bastonatura contro i due immigrati; e perciò non sono stati arrestati. Si cerca di capire meglio come funzionava questo gruppo con le teste rapate, i giubbotti e gli scarponi; chi era il capo e chi invece ne veniva influenzato. «Sono una massa di ragazzini dice un investigatore - trascinati da qualcuno più incallito. Sempre al bar: lì hanno deciso il raid, lì si sono rifugiati subito dopo l'accoltellamento, lì erano il giorno dopo. Di una vera ideologia, neanche a parlarne». Anche uno degli avvocati difensori, Gennario Arbia, è sconcertato da questo gruppo di giovanissimi violenti. «E' una storia molto brutta - dice - . Non avendo un altro ideale più nobile, finiscono con l'ammazzare il tempo così. Sono frequentatori di un bar, stufi delle partite a flipper, che decidono di fare la loro bravata. E questo contesto mi sembra che renda ancor più allucinante l'episodio». Ma adesso gli otto ragazzi sono in isolamento nel carcere di Rebibbia. Hanno perso ogni residuo di baldanza, rimuginano sulle loro colpe e si stanno pentendo amaramente di aver partecipato alla spedizione. Gli avvocati, poi, si guardano bene dal chiedere la fine dell'isolamento: in carcere una buona metà dei detenuti sono extracomunitari e non è il caso di metterli insieme nella stessa cella. . Francesco Grìgnetti A casa della ragazza una raccolta di foto porno Un altro picchiatore si è costituito in Questura Due ragazzi arrestati che hanno fatto parte della spedizione punitiva contro gli extracomunitari

Persone citate: Arbia, Pietro Saviotti, Saviotti

Luoghi citati: Roma