Dc: dopo il divorzio arriva l'ultimatum

Dc: dopo il divorzio arriva l'ultimatum Giornata drammatica a piazza del Gesù, trattative col Quirinale, Gava minaccia di dimettersi Dc: dopo il divorzio arriva l'ultimatum «Faccia il Presidente, altrimenti...» ROMA. La parola fatidica, «dimissioni», come soluzione estrema del «caso Cossiga», dentro la riunione dei capi de, ieri mattina al secondo piano di piazza del Gesù l'ha pronunciata Antonio Gava. «Questo non è un mio problema personale e neanche un problema della de, ma è una questione che riguarda la stessa tenuta delle istituzioni democratiche». Parlando a quel modo, seduto nell'anticamera dello studio del segretario de, accomodato in poltrona insieme agli altri capi che contano (Andreotti, Forlani e De Mita), il capogruppo dei deputati de è stato di parola: ai suoi poco prima di Natale lo aveva promesso: «Se Cossiga mi attacca direttamente, le dimissioni le chiedo io»; e ieri lo ha fatto. Forse quella di Gava è stata l'unica voce chiara nella più lunga giornata che si ricordi nella storia dello scontro tra lo stato maggiore di piazza del Gesù e l'ex democristiano Cossiga. Gli altri capi democristiani, invece, non sono arrivati a tanto: hanno alzato il tono della voce contro il Quirinale, hanno chiamato a raccolta i partiti della maggioranza e dell'opposizione per trovare una soluzione, ma si può dire che alla fine un modo sicuro per risolvere il problema Cossiga non lo hanno ancora trovato. Forse la fotografia più precisa di queste ore l'ha data ieri mattina, chiudendo il primo vertice de, lo stesso Forlani con una battuta ironica rivolta agli altri dignitari de: «Mi avete offerto tantissimi lumi, tutti densi di luce, ma io sono ancora cieco, non vedo ancora cosa possiamo fare». La giornata più lunga della de è cominciata presto, alle 6 e 30 del mattino, quando il Presidente ha svegliato con una telefonata il direttore del Popolo Sandro Fontana per preannunciargli una lettera di risposta al corsivo del Popolo di ieri, quello che ha posto un fermo «alt» alle esternazioni del Presidente. Poi è continuata per più di 12 ore sul filo del giallo della «lettera aperta di Cossiga alla de»: una testimonianza scrìtta che all'inizio doveva essere di nove cartelle (secondo una testimonianza, non si sa quanto informata, del ministro Bernini), poi si è accorciata a cinque righe ed infine, nelle mani del condirettore del Popolo Cavedon (che è andato a prenderla al Colle), è arrivata nella stesura definitiva di 15 cartelle ed è stata impaginata col titolo «Dolorosa separazione». Il Capo dello Stato (come riferiamo a pagina 3) racconta di non aver avuto nessun contatto diretto, ieri, con il suo ex partito. Ma a piazza del Gesù la versione è diversa: la lunghezza della lettera, a fisarmonica, ha seguito l'andamento della trattativa di Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani con il Quirinale. E' diventata di sette cartelle in mattinata quando il Presidente - raccontano i democristiani - in un momento di furia è arrivato a sbattere il telefono a Forlani, che gli chiedeva invano di rinunciare a quest'ultimo atto. Si è accorciata a cinque dopo la mediazione e i consigli di Giulio Andreotti: «Guarda Francesco che ti ritrovi solo». Si è riallungata a nove e poi fino a quindici cartelle dopo «un attacco isterico pomeridiano», secondo la testimonianza raccolta da Flaminio Piccoli dalla viva voce di uno dei grandi capi democristiani. Questa cronaca surreale i capi democristiani se la sono raccontata l'un l'altro nelle due riunioni in cui hanno fatto il punto della situazione. La prima, quella di ieri mattina, l'aveva voluta a tutti i costi Gava, ultimo bersaglio di Cossiga. E per averla il presidente dei deputati de aveva fatto, due giorni fa, fuoco e fulmini. «Possiamo anche non rispondere a Cossiga - aveva detto a Pierluigi Castagneti - ma il punto della situazione bisogna farlo: e se c'è bisogno di una motivazione per discutere sono pronto a dimettermi da capogruppo». Riuniti nello studio di Forlani alle 12 e 30, dopo una mattinata passata in incontri riservati, i capi de hanno cercato di trovare il bandolo della matassa, sperando in cuor loro in un ripensamento di Cossiga. Il segretario ha tentato per quel che ha potuto di sdrammatizzare. «Questa è una cosa seria - ha esordito - ma dobbiamo tener conto che ci ritroviamo di fronte una situazione che non è diversa da quella di altri episodi del genere, anche se con Gava Cossiga è andato oltre ogni limite». Dietro a lui, Gava ha fatto la voce grossa ed è comparsa la parola «dimissioni», ma il capogruppo ha anche posto il problema di trovare un raccordo con gli altri partiti. Poi è venuto il turno di Nicola Mancino, severo anche lui. Il presidente dei senatori de, però, si è preoccupato soprattutto di chiedere a Forlani il coinvolgimento degli altri partiti. «Ora e arrivatoilmomento ha detto - di un'iniziativa comune con gli altri partiti della coalizione: visto che tutti, anche Craxi, sono d'accordo nel riproporre la stessa alleanza per il donoelezioni, ebbene dobbiamo dire che lo «stop» alle interferenze del Quirinale nella campagna elettorale deve far parte dell accordo di maggioranza». Piano piano nella riunione è tornata anche a far capolino l'idea di rinviare la data delle elezioni, per fare i conti con Cossiga. Andreotti, però, l'ha subito scartata: «Io sono un de, non sono un ex de, e quindi sto con Gava. Ma ormai ci sono degli impegni e io giovedì prossimo verrò in Parlamento a dire che la legislatura si è esaurita». De Mita, invece, ha chiesto di coinvolgere nell'iniziativa verso Cossiga non solo la maggioranza, ma anche il pds. «Questo è un problema istituzionale - ha detto -: tutti abbiamo interesse a che la campagna elettorale si svolga in termi¬ ni politici e non in scontri personali». A sera Forlani è tornato a piazza del Gesù con una mezza promessa degli altri segretari della maggioranza: Craxi, Cariglia, Altissimo non ficcheranno il naso nel divorzio tra Cossiga e la de, ma tutti nel dibattito parlamentare di giovedì prossimo chiederanno al Capo dello Stato di tacere. Con questo in mano i capi democristiani hanno deciso di inviare l'ultimatum finale a Cossiga: torni a fare il Presidente «responsabile», altrimenti... Augusto MEnzolini Cossiga telefona al direttore del Popolo «Scrivo una lettera» E la trattativa si trasforma in un giallo lungo 12 ore Giulio Andreotti (a sinistra) Arnaldo Forlani (a fianco)

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