Il delfino di Cutolo sulla Uno bianca

Il delfino di Cutolo sulla Uno bianca Una ferita inchioda l'ex latitante Medda, sarebbe stato colpito da uno dei tre carabinieri uccisi al Pilastro Il delfino di Cutolo sulla Uno bianca Smascherato dai 2 medici che, minacciati, lo avevano curato, certificando un incidente col trapano Dietro la strage, il progetto di alleanza tra gli uomini di don Raffaele e la malavita bolognese BOLOGNA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE E' stata un'arma da fuoco e non la punta di un trapano a ferire nel gennaio dello scorso anno al piede destro Marco Medda, l'ex latitante, delfino di Raffaele Cutolo, indagato per la strage del Pilastro di Bologna. E' quanto è emerso ieri dall'incidente probatorio richiesto dal pm Alberto Candì e disposto dal gip Giovanni Pilati, durante il quale sono stati sentiti per ore i medici che curarono Medda a Milano, Massimo Scher e l'ortopedico Domenico Castaldi. Entrambi i medici sono indagati dalla magistratura milanese per favoreggiamento: avevano certificato di avere curato Medda a metà dicembre e confermato la versione del latitante sul fatto che si trattasse di una ferita provocata da un trapano. Ieri, hanno detto di essere stati «consigliati» ad usare questa versione. Ed ora, la verità sull'eccidio dei tre giovani carabinieri, avvenuto la sera del 4 gennaio dello scorso anno, è più vi¬ cina. E si rafforza l'ipotesi di un filo che lega Bologna e gli assalti della banda della Fiat «Uno» bianca al tentativo di fare rinascere il clan di Cutolo, contando sull'appoggio logistico delle famiglie malavitose del Pilastro. Quella ferita al piede destro, che gli impedì di sfuggire alla cattura il 20 febbraio scorso nel Casertano, Medda l'ha solo «corretta» con il trapano. A procurargliela è stato, molto probabilmente, uno dei colpi che il giovane militare Andrea Moneta riuscì a sparare contro i killers prima di accasciarsi. I fori di cinque proiettili furono trovati sulla fiancata della Fiat «Uno» bianca usata dai banditi (abbandonata incendiata) e tracce di sangue furono rilevate su un'Alfa 164, targata Varese, usata per il loro primo tratto di fuga. La scarsità delle tracce non ha consentito ai magistrati di effettuare una perizia di carattere comparativo con il sangue di Medda. Ma la pista su cui stavano lavorando gli investigatori bolognesi è stata confermata dalle dichiarazioni dei due professionisti milanesi. Castaldi, che operò al piede Medda il 31 gennaio scorso nella clinica Madonnina, ha riferito che gli venne «consigliato» di usare la versione del trapano per giustificare l'intervento. Lo stesso «consiglio» venne dato a Scher che curò per primo il latitante e che, ai cronisti che lo attendevano fuori dall'aula, ha detto di aver ricevuto anche minacce. Ai giudici, Scher (che è stato interrogato per più di sei ore) ha ricordato di essere stato contattato di notte da «una persona che fece il nome di un'altra persona» che conosceva, per curare il ferito. Prima o dopo la strage del Pilastro, gli è stato chiesto? «E' difficile ricordare, certo mi sembra dopo». Ha poi precisato: «Dovevano essere i primi giorni di gennaio e ho elementi che fosse una domenica». L'eccidio al Pilastro avvenne di sabato sera. Il medico non sapeva di curare Medda, ma era consapevole di avere a che fare con un latitante. «Mi dissero - ha spiegato - che era rimasto ferito al piede con un'arma da fuoco durante un parapiglia in una casa». Castaldi visitò per la prima volta Medda 20 giorni dopo. Marisa Ostoteni Si aggrava la posizione di Marco Medda, luogotenente di Cutolo, nell'inchiesta per la strage del Pilastro a Bologna (a sinistra)

Luoghi citati: Bologna, Milano, Varese