Il Colonello solo nel deserto di Igor Man
Il Colonello solo nel deserto Il Colonello solo nel deserto Il Colonnello solo nel deserto L Saint-Just del deserto è un grillo parlante che altro non ha fatto da 22 anni a questa parte se non rompere le scatole a destra e a manca. Fermamente convinto d'essere l'erede spirituale e politico di Nasser, l'obliato campione del panarabismo, il Colonnello ha sempre cercato la fusione con questo o " quell'altro Paese arabo. ; Consapevole d'essere un gigante economico ma un nano politico, ha sempre avuto fame di popoli da guidare poiché «senza le masse persino il più grande dei leader è uno sciancato». Muhammar Gheddafi, tuttavia, anziché fondersi con l'Egitto, con la Siria, con la Tunisia, col Marocco, eccetera, ha finito regolarmente col circuitarsi. Reso furioso dai troppi ripudi subiti, Gheddafi s'è vendicato dicendo dei suoi mancati partners quello che tutti, o molti, pensano, nel mondo arabo, ma nessuno osa dire. Ha sbertucciato i sovietici, ha denunciato il neocolonialismo americano, sé la prende regolarmente con l'Italia per le antiche colpe di Graziani, non risparmia strali agli inglesi, critica i tedeschi, ironizza sui giapponesi, accusa i ■ «fratelli» d'essersi incartati negli Stati Uniti prima e durante la guerra del Golfo, rimprovera ai suoi Ulema di pensare agli affari anziché alle anime, applica la «sharia» ma il suo calendario unico nel mondo islamico non parte dall'Egira. Stando così le cose come stupirsi se oggi di fronte all'«ukaz» delle Nazioni Unite egli si scopre terribilmente solo? Gheddafi proclama la sua innocenza: «altri» han commesso l'orrendo attentato di Lockerbie, non la Jamahiria libica. Il suo numero due, il maggiore Jallud, me lo ha giurato nell'appassionata intervista a «La Stampa», dieci giorni fa. Può darsi benissimo che . così sia, visto che il Mossad insiste, «prove alla mano», sulla responsabilità della Siria. Si dirà che Israele ha tutto l'interesse ad accusare Damasco ora che il processo 1 di pace voluto da Bush riduI ce lo spazio di manovra di Shamir, ma è anche vero che gli americani era la pista siriana che seguivano sino a qualche settimana fa, non quella libica. Sennonché senza Assad non si può fare la pace, mentre Gheddafi è soltanto un terribile rompiscatole, per di più con trascorsi piuttosto burrascosi se egli stesso dice, oggi, di aver rotto i ponti con Pira appoggiata in passato nella convinzione che non praticasse il terrorismo bensì combattesse per una giusta causa. Di più: il grillo parlante è oggettivamente il più debole dei (pochi) raiss arabi non iscritti nel ruolino-paga degli Usa. Sicché per un Bush in mortificante perdita di consenso elettorale, colpirlo non comporterà quei guasti che potrebbe invece provocare una nuova crociata contro Saddam. Sia come sia, il tono «imperativo e definitivo» delle accuse americane ha qualcosa di imbarazzante. Non fosse altro perché dopo il bombardamento di Tripoli voluto da Reagan si scoprì che l'attentato alla discoteca di Berlino (motivo della rappresaglia) non erano stati ì libici a commetterlo. Certo, Gheddafi non è proprio uno stinco di santo ma l'imbarazzo cresce se si va a rileggere l'articolo di Bob Woodward sul «Washington Post» del 3 ottobre del 1986: «Il piano di falsificazione Usa contro Gheddafi». E tuttavia se veramente Al Qaid ha commesso, o coperto, l'attentato di Lockerbie, quello sarà stato il principio della sua fine. Ma a questo punto sembra legittimo, come scrive «Jeune Afrique», «esigere prove più convincenti e una procedura meno disinvolta». Anche perché non risulta che la giustizia americana sia la suprema corte del mondo. Igor Man lanj
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