In corteo contro Li Peng di Andrea Di Robilant
In corteo contro Li Peng Studenti e intellettuali contro la visita del premier cinese In corteo contro Li Peng A Roma i superstiti di Tien An Men ROMA. C'è una piccola sorpresa in serbo per Li Peng. A ricevere il premier cinese lunedì, in occasione della sua prima visita ufficiale in Occidente dopo i fatti di Tien An Men, ci saranno anche due superstiti della strage del 4 giugno 1989. Gli studenti Chen Lichuan e Zhao Yuesheng, che vivono in esilio a Parigi e rappresentano la Fédérationpour la démocratie en Chine, guideranno già sabato sera una fiaccolata di protesta nel centro di Roma. Dietro di loro, vestiti con pelli di yak e altri indumenti tradizionali, sfileranno più di cinquanta esuli tibetani in arrivo da Zurigo in pullman. E dietro i due cinesi e i cinquanta tibetani, decine di personalità della cultura e degli spettacoli che in questi giorni hanno firmato un appello affinché il governo «dia pubblicamente ragione» dell'invito a Li Peng. Tra i firmatari, Enrico Montesano, Franco Battiate Andrea Occhipinti, Franco Zeffirelli, Liliana Cavani, Ottavia Piccolo, Nino Manfredi, Franco Brusati, Ernesto Galli della Loggia, Gianni Vattimo, Guido Ceronetti e Fosco Maraini. «Abbiamo in programma una Tre giorni contro Li Peng», dicono all'Associazione Italia-Tibet. Oltre alla fiaccolata sono previste una conferenza stampa di tibetani a Montecitorio e una conferenza pubblica sulla situazione in Cina con sinologhi da tutto il mondo. La visita di Li Peng in Italia doveva rientrare in un giro europeo più ampio, che includeva anche la Spagna e il Portogallo, due Paesi della Cee. Invece, oltre a Roma, Li Peng si fermerà solo in Svizzera (visita non ufficiale) e a Malta per poi proseguire per le Nazioni Unite. «L'Italia conferma così il suo ruolo di apripista per i lavoretti meno decenti della diplomazia intemazionale», commenta il radicale Giovanni Negri, coordinatore dell'Intergruppo parlamentare per il Tibet. Lui ed altri deputati hanno chiesto a Nilde lotti di premere su palazzo Chigi e Farnesina per avere qualche comunicazione alla Camera dal governo. «Vorremmo che Andreotti ci spiegasse almeno il perché di questa visita. Ma finora in Parlamento non ha mandato nemmeno uno straccio di sotto-segretario». L'invito a Li Peng fu esteso in occasione del viaggio di Andreotti in Cina lo scorso settembre. «Quando si va in visita ufficiale - dice il portavoce di palazzo Chigi, Pio Mastrobuoni - è normale ricambiare l'invito». E considerazioni politiche hanno spinto il governo a non rimandarlo. «Non si può tenere isolato un Paese con una popolazione che va oltre il miliardo», sostiene Mastrobuoni, il quale ricorda anche «l'affidabilità» della Cina durante la Guerra del Golfo, la «disponibilità» di Pechino a firmare il Trattato di non proliferazione. Il governo «non ha mai chiuso gli occhi sui fatti di Tien An Men», insiste il portavoce. «Ma non è necessario suonare la grancassa: come disse Andreotti in Cina, si possono ottenere risultati anche parlando all'orecchio della gente». E a titolo di esempio il portavoce assicura che il governo cinese avrebbe da poco rilasciato due dissidenti (di cui non è sta¬ to possibile avere i nomi, ndr) per i quali Andreotti si era interessato durante la sua visita. Ma proprio in questi giorni l'organizzazione per i diritti umani Asia Watch ha denunciato la durissima repressione religiosa in Cina. Il rapporto fornisce informazioni su oltre 50 vescovi, sacerdoti e laici della Chiesa cattolica clandestina che sono stati arrestati dal 1989 e si trovano ancora in prigione, in campi di lavoro o in libertà vigilata. L'ultimo arresto, del vescovo Paul Li Zhenrong, è avvenuto il 20 novembre scorso. Andrea di Robilant I premier cinese Li Peng, prima visita in Occidente dopo la strage
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