In Africa si vince bevendo un buon frappè di latte di leonessa di Marco Ansaldo

In Africa si vince bevendo un buon frappè di latte di leonessa DIETRO LA COPPA Magie e superstizioni in un calcio che non vuole smettere di fare l'altalena tra le novità della tecnica e della scienza e le antiche credenze In Africa si vince bevendo un buon frappè di latte di leonessa Dice un medico: ha un ruolo anche lo stregone che aiuta a combattere lo stress dei giocatori L'INTER SU DAKAR. Abedì Pelé, che lunedì ha deciso la qualificazione del Ghana alle semifinali di Coppa d'Africa con un bellissmo gol al Congo, potrebbe andare all'Inter. Oggi arriverà a Dakar il direttore sportivo nerazzurro Beltrami e tratterà con il procuratore del fantasista che gioca nel Marsiglia. Per l'africano esiste comunque un interessamento della Sampdoria. C'è soltanto da chiedersi che se ne fa il club ligure di un giocatore che per caratteristiche è un po' il doppione di Mancini. L'Inter, sotto questo profilo, appare una destinazione più credibile. L'Udinese si è invece interessata ad un altro ghaniano, il centrocampista Aboraah: ma è appena stato ceduto ad un club austriaco e l'emissario friulano. Dotti, si è arreso. DAKAR DAL NOSTRO INVIATO «Non si stupisca. Il nostro calcio viaggia velocemente sulla strada della ricerca, ma i nostri uomini soffrono delle stesse paure di una volta. E per curare i piccoli e i grandi malanni molti africani si affidano ancora ai "marabuts", ai "marmiteurs", agli "djoliba". Agli stregoni insomma». Il professor Constant Roux è un uomo di scienza, direttore del reparto di Chirurgia infantile all'ospedale di Abidjan, in Costa d'Avorio, e da vent'anni si occupa di calcio. Però convive ogni giorno con la superstizione. Domenica per poco non finiva in rissa tra i giocatori del Camerun e due «fétichistes» senegalesi che gettavano il malocchio sugli avversari con «bombe» di acqua e polvere maledetta. E la squadra del Ghana, prima del riscaldamento, si di¬ spone in cerchio per coprire uno degli atleti che orina sul prato. Dicono non sia la sola ad aver imitato gli animali, in quello che si considera un gesto di possesso. Tutto questo fa colore. Ma fa anche riflettere sull'anima rituale di questo calcio del futuro. Ci sono sicuramente aspetti scientifico-sportivi in cui l'Africa è più avanti dell'Europa: ad esempio in nessun Paese al mondo esiste un controllo e uno studio sugli infortuni ai calciatori dettagliato come è in Costa d'Avorio. Contemporaneamente si espongono le radici di una cultura animista, feticista, magica. Da queste parti l'Anconetani che sparge il sale sui campo di Pisa farebbe la figura di un bambino che tira agli aerei con la fionda. Qui le procedure sono molto più elaborate, complicate. Anche se spesso ugualmente improduttive. Il Senegal, eliminato domenica dal Came¬ run nonostante i sortilegi, ne è la dimostrazione. Gli esorcismi si ripetono negli spogliatoi, in campo, sugli spalti. A guidare la divertentissima pattuglia dei tifosi ivoriani c'è lo stregone di un villaggio dell'interno, con una giubba che ricorda l'omino Michelin e un cappelletto arancione fatto a punta: il gruppo suona ininterrottamente i tamburi, lui recita le litanie. Gli esorcismi cambiano a seconda dei Paesi. Qualche volta impongono prove terribili, come procurarsi il latte di una leonessa. In genere però si evitano le pratiche pericolose: si attaccano fili rossi ad un albero, si sgozzano i polli, ci si fa predire il risultato dalle vecchie del villaggio che lo leggono gettando delle conchiglie in terra. Oppure si va, di notte, al cimitero e si posa la maglia di gioco nel punto indicato dal «fétichiste». In questi casi non ci si può dispensare. L'allenatore o il giocatore che vuol restarne fuori viene messo in difficoltà: «porta male». Del resto pochi, anche tra i calciatori della Coppa, entrano in campo senza un amuleto, un anello, una collana. L'oggetto più comune, in particolare tra i senegalesi, è il «gris-gris», un talismano di pelle e avorio che si indossa legandolo sotto il pantaloncino. La superstizione condiziona persino i calciatori più famosi, come Abedì Pelé, e quelli che giocano in Europa. «Una volta - racconta il professor Roux - dovetti curare da un brutto ematoma Traorè, il nostro attaccante. Per tre giorni lo sottoposi ad applicazioni e a prelievi, e lo guarii. Ma alla vigilia della partita i dirigenti della Costa d'Avorio mi dissero che era andato al villaggio da sua nonna per farsi cospargere la parte dolorante con una polverina nera». Il medico deve destreggiarsi. Spiegare senza urtare la suscettibilità e le cre¬ denze. Il vero problema, secondo Roux, sono i ciarlatani, quelli che si fingono maghi per spillare alle Federazioni i quattrini non investiti in apparecchiature mediche. «Alcuni ricorrono a trucchi elaborati con dei complici. Una volta mandai un portiere a farsi fare la radiografia ad una mano che sapevo fratturata. Tomo e le lastre erano perfette. Era convinto che l'avevano guarito al villaggio toccandolo con non so cosa: invece gli avevano radiografato il palmo e il dorso della mano sana. Ecco, noi combattiamo questi casi: quando i rituali impongono di bere pozioni o di iniettarsi qualcosa. Accettiamo il resto. In fondo gli stregoni ci aiutano a combattere lo stress dei calciatori». Come da noi gli psicanalisti. Chissà se Sacchi, di ritorno da Dakar, ne adotterà uno per l'Italia. Marco Ansaldo