«Tutta la verità sui sieropositivi» di Bruno Ghibaudi

«Tutta la verità sui sieropositivi» Il psi vorrebbe una modifica alla legge, ma De Lorenzo non è d'accordo «Tutta la verità sui sieropositivi» Aids, ora traballa il diritto alla riservatezza ROMA. E' preferibile rispettare la riservatezza dei sieropositivi, mantenendo il riserbo sulla loro condizione, oppure è più opportuno (e forse anche più corretto sotto l'aspetto etico) rivelarlo seppure con certi limiti - per evitare che il contagio si diffonda? A sollevare la questione sono stati i socialisti. Dopo aver premesso che secondo uno studio delle Nazioni Unite nel Duemila l'Aids avrà colpito 2 milioni di persone in tutto il mondo, sollevano una serie di questioni che mettono in discussione il diritto alla riservatezza per chi è colpito da questo virus. Come deve comportarsi il medico che scopre la sieropositività di un coniuge? Deve avvertire l'altro della condizione di rischio in cui si trova oppure deve rispettare la privacy del primo? E dopo aver ricordato che i casi di sieropositività fra gli eterosessuali e fra le donne stanno aumentando considerevolmente, si domanda¬ no perché il test di sieropositività sia richiesto soltanto per chi vuole entrare in determinati servizi delle Forze dell'ordine ma continui a non figurare fra gli accertamenti di chi inizia la vita militare o entra in carcere. E fanno notare che per la sieropositività da Hiv e per i casi di Aids conclamato le valutazioni sono diverse da quelle dei casi di altre malattie infettive. Il ministro della Sanità Franco De Lorenzo si è limitato a rispondere che «sul test di sieropositività la riservatezza e l'anonimato, previsti dalla legge 135 sugli interventi contro l'Aids, non è in discussione». Al riguardo, la Commissione Anti Aids ha detto di recente che «il medico deve limitarsi a consigliare il sieropositivo di informare il partner». Ma è davvero possibile conciliare il diritto alla riservatezza di alcuni con il diritto alla salute di tutti gli altri? Secondo i dati più aggiornati, in Italia i casi segnalati dal 1982 al 31/12/91 sono già 12.341, e cioè 732 in più di quelli conosciuti fino a qualche giorno fa. Accade infatti che circa il 40% dei casi diagnosticati venga segnalato all'Istituto Superiore di Sanità con un ritardo superiore ai 90 giorni. E' perciò un consuntivo destinato ad aumentare. Ma già con i dati d'oggi, i 1891 nuovi casi del 1991 (contro i 1611 del '90) dimostrano che il trend è in crescita. Risulta inoltre che circa la metà dei casi segnalati proviene da tre sole regioni (Lombardia con 40,8 casi su 100 mila abitanti, Lazio con 30,1 ed Emilia Romagna con 38,3) ma la proporzione risulta elevata anche in Liguria (38,3) e in Sardegna (21,5). In Piemonte (più di 830 casi dall'82 al '91) la percentuale è del 18,6, in Val d'Aosta del 14,3. I decessi sono già stati più di 6000. Bruno Ghibaudi

Persone citate: Anti, De Lorenzo, Franco De Lorenzo

Luoghi citati: Emilia Romagna, Italia, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Roma, Sardegna, Val D'aosta