SILENZIO DEL MONDO SUI DELITTI DI CASTRO di Gianni Vattimo

SILENZIO DEL MONDO SUI DELITTI DI CASTRO L'ESECUZIONE DEL DISSIDENTE BETANCOURT SILENZIO DEL MONDO SUI DELITTI DI CASTRO LA severità, ma meglio sarebbe dire la vera e propria ferocia, con cui il Consiglio di Stato cubano, presieduto dallo stesso Fidel Castro, ha respinto ogni appello alla clemenza, facendo eseguire la condanna a morte di Eduardo Diaz Betancourt è un fin troppo evidente segno della debolezza estrema in cui si trova ormai il regime dell'Avana. Lo rivela anche la motivazione con cui è stata giustificata la conferma della condanna solo per Betancourt, mentre agli altri suoi due coimputati riconosciuti colpevoli degli stessi reati la pena è stata commutata in una carcerazione di trent'anni: Betancourt era un esule «recente», era fuggito da Cuba in Florida da meno di un anno, dunque aveva avuto la possibilità di godere dei «frutti» della rivoluzione castrista e invece l'ha ignobilmente rinnegata e tradita. I suoi due compagni di avventura erano vissuti per molti anni negli Stati Uniti, il che renderebbe più comprensibile la loro avversione per Castro, condizionata dalle menzogne respirate con l'aria del mondo capitalista. Betancourt al contrario era uno di quei personaggi che in una società rivoluzionata non «possono» esistere, perché la loro semplice esistenza smentisce la riuscita della rivoluzione: vanno dunque trattati da pazzi asociali (lo hanno fatto a lungo i regimi sovietici, senza disdegnare anche la soluzione più radicale), o eliminati fisicamente; soprattutto quando, come in questo caso, il loro rifiuto dei frutti della rivoluzione sembra diffondersi in modo preoccupante in tante zone della società cubana. Betancourt è morto anche e soprattutto perché sta morendo il regime castrista, che come altre dittature al tramonto diventa spietato proprio perché si sente in estremo pericolo. E' successo così, per esempio, anche negli ultimi anni di vita del franchismo. Eppure, proprio questa analogia mette in luce una profonda, preoccupante differenza. Sebbene ci siano stati, in questi giorni, numerosi appelli di personalità della cultura e della politica (Garda Màrquez, Violeta Chamorro) e di varie organizzazioni internazionali per la sospensione della condanna (in Italia, ricordiamolo, si sono mossi solo i «soliti» radicali), non c'è stata alcuna mobilitazione paragonabile a quella che, per esempio, si ebbe ai tempi della condanna a morte di Julian Grimau nella Spagna franchista del 1963, e poi, sempre in Spagna, al tempo della fucilazione di cinque giovani oppositori del regime ormai agonizzante nel 1975. Abbiamo sott'occhio la prima pagina de «La Stampa» del 28 settembre 1975, quasi interamente occupata dalla notizia delle fucilazioni, da quella dell'intervento in extremis del papa Paolo VI, e dalla foto di una grande manifestazione antifranchista in piazza del Duomo a Milano. Nel caso di Betancourt, l'intervento del Papa, pur richiesto dalla famiglia, non risulta che ci sia stato. Ma questo fatto, molto più che espressione di una insensibilità o di un errore di calcolo della Santa Sede, sembra solo il sintomo più evidente di uno stato d'animo generale, che sta fra la rassegnazione e l'indifferenza. Non succede lo stesso, del resto, nella mancanza di vere reazioni all'annunciata visita del primo ministro cinese in Italia (dovrebbe arrivare nei prossimi giorni, sarà il suo primo viaggio ufficiale in un Paese dell'Occidente dopo il massacro della piazza Tienanmen), e anche nell'assuefazione con cui ormai guardiamo i massacri che continuano nella ex Jugoslavia? In fondo, è forse fatale riconoscere che anche la capacità di indignarsi per la violazione dei diritti umani elementari è gravemente sbiadita con la caduta del comunismo, come se anche la difesa di quei diritti avesse (quasi) solo senso nel quadro della lotta tra «impero del male» e «mondo libero». Fuori da questo contesto, anche la crudeltà del regime castrista sembra solo un caso di quella delinquenza comune con cui conviviamo ormai (troppo) abitualmente. Eppure, un grande spartiacque politico nel mondo esiste ancora, anche se non è più segnato dalla cortina di ferro; dovremo imparare a riconoscerlo non più partendo dalla scelta astratta e ideologica tra regimi, ma dall'effettivo rispetto di alcuni irrinunciabili diritti. Gianni Vattimo

Luoghi citati: Avana, Cuba, Florida, Italia, Jugoslavia, Milano, Spagna, Stati Uniti