Osborne, 4 mogli con rabbia

Osborne, 4 mogli con rabbia a Londra il secondo volume dell'autobiografia: dieci anni da antipatico Osborne, 4 mogli con rabbia Tanti personaggi celebri descritti al veleno a Better Class of Persoti, primo volume dell'autobiografìa di John Osborne, finiva col protagonista a ventisei anni, modestissimo attore disoccupato, da poco abbandonato per un dentista dalla moglie Pamela, attrice un po' più fortunata di lui; costui viveva del sussidio di disoccupazione a bordo di un natante ormeggiato in un canale londinese, dividendo le spese con un amico altrettanto in bolletta, insieme al quale aveva scritto una commedia respinta da tutti gli impresari. Da solo, ne aveva poi scritta un'altra, che dopo avere suscitato in giro il consueto disinteresse, era stata inopinatamente presa in considerazione da George Devine, fondatore e animatore della English Stage Company, col programma di dedicarsi alla promozione di nuovi autori inglesi. Devine in persona era atteso in visita sulla casa galleggiante dell'ignoto scrìttore, il quale per l'occasione si era vestito da yachtsman, con giacca a strìsce e pantaloni di flanella. Almost a Gentleman (Faber & Faber, pp. 284), secondo volume che esce oggi a dieci anni dal primo, comincia da quel fondamentale incontro con Devine e termina dieci anni dopo, nel 1966, quando Devine muore e contemporaneamente un po' tutto il mondo di Osborne, ormai diventato celeberrimo, sembra sgretolarsi. Appresa la notizia in una cittadina del Nord dove si trova per caso, l'ex promettente commediografo veglia tutta la notte con una bottiglia di whisky per scrìvere in qualche modo un ricordo dell'amico, poi va letteralmente alla deriva, contemporaneamente al suo terzo matrimonio, in preda a un esaurimento nervoso che, come ci dice abbastanza esplicitamente, lo consegnerà poi inerme nelle mani di una quarta e retrospettivamente odiatissima consorte. Non che le altre signore Osborne se la cavino molto meglio. Questo volume è altrettanto privo di peli sulla lingua del primo, a differenza del quale però tratta molto spesso di persone arcinote e talvolta ancora in circolazione. E se non si può dire che il creatore di Jimmy Porter ricordi esattamente con rabbia, come quel personaggio emblematico di tutta una generazione, è certo che la sua obbiettività sconfina spesso nell'antipatia. Anzi, a pensarci bene, forse proprio questo è il suo dato più caratteristico. John Osborne è antipatico, e lo è sempre stato, fino da quando si presentò aggredendo l'Establishment con la violenta dichiarazione di insoddisfazione del suo primo protagonista. In seguito, nel perìodo in questione, l'autore avrebbe continuato a dar voce a contestatori sonori come Lutero, o a sconfitti poco amabili la cui caduta coinvolge tutta una società, come Archie Rice di The Entertainer, o l'eroe di Prova inammissibile; e intanto assumeva atteggiamenti pubblici irritanti, scrìvendo dalla Costa Azzurra lettere aperte di disprezzo per i suoi concittadini, o partecipando, sia pure controvoglia (in seguito sarebbe diventato un acre crìtico del conformismo di sinistra) ai sit-in antiatomici e facendosi arrestare a Trafalgar Square. Dava, poi, scandalo in patria, in tempi di grande prurìginosità, con le circostanze delle sue relazioni molto pubblicizzate dalla stampa scandalistica, che in Inghilterra è sempre stata particolarmente odiosa; e irritava gli americani durante le sue puntate a Broadway, con la sua tracotanza da esteta venuto dalla classe operaia, che quelli scambiavano a torto per tipica omosessualità britannica. Quel trattamento spietato che riserva agli altri Osborne lo applica, beninteso, anche a se stesso: ma si badi, spassionatamente, senza il voluttuoso masochismo di un Ingoiar Bergman, la cui autobiografia certo non a caso la New York Review of Books gli chiese a suo tempo di recensire. A rendere Osborne definitivamente antipatico, almeno presso alcuni, c'è poi la qualità indiscu¬ tibile della sua scrittura. E' vero, sono ormai molti anni che il suo nome non compare sotto una novità di successo. Ma almeno cinque o sei suoi lavori teatrali sono ormai stabilmente nel novero dei classici riconosciuti. E questa autobiografia in corso rimarrà fra le più ammirevoli in lingua inglese, tanto per la sua vivace, originalissima prosa, quanto per l'impareggiabile descrizione, prima degli usi e costumi di una certa fetta della piccolissima borghesia inglese avanti e durante la Seconda Guerra Mondiale, e poi, delle premesse della cosiddetta «swinging London», quella edonistica e disinibita dei Beatles e di Carnaby Street. L'angolazione dalla quale Osborne vede il mondo è naturalmente quella del teatro e del cinema inglese dell'epoca, nei quali si svolgono le tappe fondamentali della sua carriera, a partire dal grande e imprevisto successo di Ricorda con rabbia, grido di dolore per la fine delle speranze nelle magnifiche sorti britanniche (la prima, 8 maggio 1956, anticipò di poco Suez e lo schiaffo di Nasser). Quel successo gli diede e più tardi gli tolse una moglie, Mary Ure, bionda scozzesina che dopo aver «creato» il personaggio di Alison al Rovai Court continuò ad apparire a Broadway per un lungo perìodo, durante il quale il marito ebbe modo di cedere alle prime tentazioni del suo nuovo status di autore corteggiato dai produttori di Hollywood, imbarcandosi un po' goffamente nella relazione con una pneumatica aspirante divetta. «Avevo smesso di nascondermi, se mai lo avevo fatto, che Mary non era un gran che come attrice. Aveva una voce abbastanza dura e una gamma limitatissima. Il suo aspetto era gradevole ma senza nessuna autorità... Non era possibile immaginarla affrontare Lady Maebeth, Cleopatra o almeno Rosalinda». Osborne è poco cavalleresco con le sue ex. A sentir lui, che pure non tace i propri torti, ne ha ben donde. Dopo essere stata alquanto trascurata, Mary lo tradì con l'attore Robert Shaw, al quale avrebbe dato quattro figli, il primo dei quali tentò di attribuire all'allora marito. La terza moglie Penelope Gilliatt, che per Osborne lasciò il marito medico e amico della famiglia reale, era un'ambiziosa giornalista, avida collezionatrìce di uomini famosi, e dopo il drammaturgo avrebbe consolato Mike Nichols e altre star dello showbusiness americano. Alla Gilliatt Osborne rinfaccia oggi l'insaziabile ambizione, e anche il fanatismo con cui dedicava tutta la settimana alla stesura del suo articolo di crìtica cinematografica per l'Observer. «Dovunque andavamo, la macchina da scrìvere ci seguiva...». Il risentimento per questa moglie ispira a Osborne uno dei rari passi in cui parla, sia pure indirettamente, della genesi del suo lavoro. Delle commedie egli ci racconta infatti di solito cosa accadde loro quando, una volta scrìtte, si trattò di metterle in scena; ci parla delle accoglienze che ebbero, ci rivela interessanti particolari sul loro cammino. Ma su come abbiano preso vita mantiene un riserbo che non estende a quasi nessun'altra sua esperienza. Nel libro incontriamo molti personaggi, spesso celebri, per esempio Laurence Olivier, per il quale come si sa fu scritto The Entertainer; altri meno illustri possono essere altrettanto gustosi, e sono impagabili le rare ma incisive apparizioni dell'incorreggibile, odiosamata madre di Osborne, vero personaggio di Andy Capp, che lamenta la mancanza di pub a Venezia e si sbarazza, appunto nella pomposa casa di Sir Laurence, di una poco gradita porzione di caviale buttandola in terra quando si crede inosservata e spiaccicandola col piede sulla moquette. Lo scarso affetto è riservato a pochi amici, lo scopritore Devine, l'attore e grande bevitore Robert Stephens, e l'estroso regista Tony Richardson, compagno di memorabili avventure, anche in posti insoliti come il Nicaragua; la benevolenza per quest'ultimo si manifesta anche nell'astio con cui Osborne ritrae la giovane star Vanessa Redgrave, con la quale Richardson ha inaugurato un tempestoso ménage. Non che l'ostentata sincerità sia sempre piacevole; vedi il frammentario finale con le sue anticipazioni sul quarto matrimonio con l'attrice Jill Bennett, della quale Osborne descrive il suicidio forse involontario, avvenuto nel 1991, addirittura con giubilo, come l'episodio che ha rivelato al mondo quello che lui aveva scoperto a sue spese, ossia la mostruosa avarizia e aridità della donna. Dopo aver sempre pianto miseria costei lasciava più di mezzo milione di sterline a un ospizio per cani. «Mi rimane solo un rimpianto in questa storia di Adolf (nomignolo di Osborne per la ex moglie). E' semplicemente di non aver potuto guardare dentro la sua bara aperta e, come quell'uccello nel Libro di Tobia, farle cadere nell'occhio un escremento bello grosso». Mudino d'Amico Da attore ignoto, povero, disoccupato a drammaturgo simbolo di un'epoca: La storia del suo successo fra guizzi di sarcasmo e disperazione John Osborne: con «Almost a gentleman» un'altra tappa dell'autobiografia

Luoghi citati: Gentleman, Hollywood, Inghilterra, Londra, New York, Nicaragua, Venezia