SDRUCCIOLANDO SULLO STOMACO di Stefano Bartezzaghi
SDRUCCIOLANDO SULLO STOMACO SDRUCCIOLANDO SULLO STOMACO I giochi di Bartezzaghi AVEVO mal di stomaco / per colpa di un alcolico». Inizia così una poesia di Paolo Fai (Solari no, SR). Me l'ha scritta e mandata perché scandalizzato da certe mie affermazioni. Avevo proposto [Tuttolibri 781, 21 dicembre 1991) il nome «Andromaco» per trovare una rima a una parola che sembrava esserne priva: «stomaco». Fai, che so aduso alle migliori frequentazioni classiche, mi ha scritto per chiedermi se stessi scherzando. No, non scherzavo. Il problema delle rime sdrucciole, dicevo, è e resta un bel problema. Di quelli che fanno venire voglia di berci sopra, rischiando anche il mal di stomaco. E' un caso previsto da Fai, il protagonista della cui poesia prende delle decisioni già nel secondo distico. Telefono a Nicomaco, / gran padre, noto medico. «Nicomaco» è una rima per «stomaco» migliore di «Andromaco». Questa frase è stomachevole, ma elogia «Nicomaco» perché non è un nome inventato. Aprite II lessico classico di Friedrich Lùbker (in anastatica Zanichelli, 1989): incontrate ben sette «Nicomachus» di cui il primo è un medico nonché governatore di Fere, e il secondo è il padre di Aristotele (il terzo è un figlio di Aristotele, segno che la tradizione degli omaggi onomastici è antica; seguono un poeta, uno scrittore, un pittore e un matematico). La telefonata del gas triti co ottiene risposta: Domanda ad Erissimaco, / nel dialogo simpotico, / oppure a queWIscòmaco, / mi par nell'Economico. Qui abbiamo guadagnato un'altra rima, che oltretutto propone una forte somiglianza (allitterazione? paronomasia?) anche all'inizio della parola: «stomaco» / «Iscòmaco». Ma indubbiamente questa sfilza di nomi greci fanno venire il mal di pancia anche a chi non ce l'ha, figurarsi un gastritico (Grecia e mal di pancia ci portano dritti dritti a Claudio Bisio: capite l'allusione?). E' per questo che l'interlocutore ribatte: Non hai qualche altro farmaco I magari men platonico? Qui segue un elenco di personaggi (Telemaco, Antimaco, Callimaco, Lisimaco, Simmaco) di cui l'unico che mi sembri propriamente rimare con «stomaco» è «Clitomaco». Chi era costui? Come riferisce il Lessico citato, si tratta addirittura di un allievo di Cameade, praticamente una superstar. Se soffre pur l'esofago, I ti s'ulcera il coledoco, / ti senti un po' distonico, I leggiucchia Cielo d'Alcamo. Qui, e specialmente per l'ultimo verso, andrebbero bene alcune annotazioni sulle rime sdrucciole e sulle rime finte. Me le evito, ve le evito. Preferisco riferire che Fai, che ringrazio e saluto, mi mandava la poesia il 24 dicembre: lo stesso giorno in cui un quotidiano (diffusione nazionale, alta tiratura) proponeva (prima pagina, caratteri di scatola) un titolo così concepito: E la notte di Natale / si dimette Gorbaciov. Non so voi: io leggo l'ultimo verso mettendo l'accento sulla seconda e non sulla prima o di «Gorbaciov» (facendolo rimare con «Casaciòk», per intenderci). Questo perché ogni sospetto di ottonario è irresistibile: e l'ottonario è il verso più magnetico e appiccicoso della metrica italiana. Nel distico che abbiamo visto il Poeta ottiene la misura desiderata aggiungendo una congiunzione del tutto pleonastica all'inizio dell'ultimo verso. «E la notte di Natale»; perché non ci sono spiegazioni razionali, né redazionali: è il funzionamento della calamita dell'ottonario, la sindrome del signor Bonaventura. Senza «e» siamo in zona di mistica infantile («la notte di Natale / è nato un bel Bambino»). Con la «e» siamo in una sintomatologia giornalistica che è stata descritta e illustrata da Luciano Satta {Alla scoperta dell'acqua calda, Bompiani, pag. 46-47). Lì si ricorda anche il caso di un giornalista (dello stesso giornale di prima) che completò così la proverbiale clausola manzoniana: «E la sventurata rispose». La «e» era apocrifa, in Manzoni non c'è. Forse avrà interferito il ricordo deamicisiano, dove il calco («risibile», per Eco) da Manzoni è evidente, e fa capolino la congiunzione: «E quell'infame sorrise» (si tratta di Franti, certo). «E» o non «e», torniamo a noi. Il lungo giro ci è servito per arrivare a una provocazione. «Stomaco» rima con «Nicomaco» e compagnia ellenica. Va bene. Ma perché non proviamo a farlo rimare, per esempio, con «còma»? Il problema è delicato: ci porterà, se vorrete, a spalancare abissi di rime ipèrmetre, e altre robe da chiodi. Sia ben chiaro che io farei rimare volentieri «stomaco» con «Gorbaciov», anche. Ma intanto c'è lo spazio giusto per una curiosità e una precisazione. La curiosità: da «còma» a «Como» il passo è breve. Il Dizionario di ortografia e pronunzia di Migliorini, Tagliavini, Fiorel1 i, dà come aperta la o di Còrno, e aggiunge, però, che i comaschi la pronunciano chiusa. Ma non si dice che «ognuno comanda a casa sua»? I comaschi non comandano? La precisazione: avevo parlato vagamente della sostituzione di «clandestino» con «gran destino», nell'ultima rubrica. Visto che di allusioni a sventurate, e a brianzoli, ne abbiamo fatte abbastanza, aggiungerò che Saverio Longone (Monza, Mi) mi segnala che il gioco falso-etimologico è nel Fermo e Lucia. Ringrazio e ricambio facendo notare che Fermo-Lucia è binomio panvocalico, come anche, del resto, Renzo-Lucia. Scrivete a Tuttolibri, redazione Giochi, via Marenco 32 10126 Torino. Stefano Bartezzaghi
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