LIBRI DA DUCE

LIBRI DA DUCE LIBRI DA DUCE Polemica per un'antologia: Ilfascismo creò i suoi bestsellers « » EGREGIO direttore, esprimo il mio disappunto per la mancanza di stile e discrezione intellettuale di cui ha dato prova Oreste del Buono, nel recensire su Tuttolibri del 4 gennaio il volume, curato da me e da Vanna Gazzola Stacchini, I bestseller del ventennio (Editori Riuniti). Il recensore non si fa carico dell'obbligo del fair play, tanto più doveroso trattandosi dopo tutto di idee e di punti di vista. Che anzi, senza eccessivo senso del limite, preso forse da un attacco improvviso, quanto immotivato, di cattivo umore, s'è buttato giù a stendere queste sue sbrigative noterelle, abbozzate non proprio in punta di penna, credendo di dover rendere giustizia a non si sa bene quale santa causa, posto che, tra tanti brutti libri, prendersela con uno - tutto sommato - buono mi sembra proprio dar battaglia ai mulini a vento. Un gioco al massacro che - sono costretta a dirlo - questo onesto libro non si meritava, con il suo bravo apparato biobibliografico, con il suo corredo di note, con le sue ragionate argomentazioni, con la sua, ma sì, probità scientifica, cui del resto siamo avvezzi per un commercio non effimero con i fatti della cultura. Ma veniamo al dunque. Del Buono ci critica per un nostro presunto «amor di tesi», che come una camicia di Nesso, verrebbe a soffocare e a mortificare la ricchezza e la varietà delle espressioni letterarie del ventennio, al punto che ci vieta di vedere ciò che anche i ciechi vedrebbero: i libri migliori, di maggior successo, di più vasto consenso. In base a ciò pretende condannarci per quello che non c'è e che lui si aspettava di trovarvi, e che noi, nell'economia e per il taglio della nostra ricerca, abbiamo ritenuto non rilevante. Ora mi preme far comprendere, non soltanto a del Buono, ma ai lettori, che la nostra strategia di indagine si situa su un altro versante, e precisamente su un punto determinato di discrimine che ci divide dalla ormai superata nozione di un regime fascista come estraneo e opposto alla «cultura», ad una cultura che conserva intatta la sua autonomia, al di sopra dei tempi. Perciò la nostra ricerca ha voluto individuare i campi di intervento, in fatto di organizzazione del consenso, e si è occupata di tecniche pubblicitarie, di operazioni promozionali, di rapporti con le case editrici, di confezionamento del libro di massa, del libro «italiano», fascista per eccellenza, senza perdere di vista gli umori e i gusti della gente, venendo incontro alle domande del suo immaginario. Il fascismo, in una parola, fornì un quadro ideologico di riferimento a questa domanda emergente, fatto di «grandi idee», di «miti» totalizzanti, di figure emblematiche e di vivificanti avventure. Creò in definitiva i suoi bestseller, e molti se ne confezionarono indipendentemente - dò atto - da una diretta partecipazione del regime, grazie alla comune melassa di «buoni sentimenti» di cui partecipavano scrittori e lettori, non soltanto italiani. Questo è tutto. Quanto poi al fatto che si leggesse anche dell'altro, siamo i primi ad averlo avvertito, insieme con altri studiosi, cui facciamo continuo riferimento; così come ci siamo sforzati di individuare ambiti di circolazione, prime avvisaglie di coscienza critica, di disagio, persino di opposizione, puntualmente registrate ed osteggiate dal regime, dagli ultimi Anni Trenta in poi. Certo che Moravia era letto (ed anche Brancati, e Bernari, e Vittorini, ecc.). Ma a parte che Gli indifferenti non è proprio un bestseller quando esce, lo divenne dopo, post rem, e venne pubblicato da una piccola Casa editrice (si confrontino le puntuali osservazioni di Geno Pampaloni, in Editoria e cultura a Milano tra le due guerre) - non è questa storia del dissenso, fin troppo nota, che ci interessava fare, bensì la storia di un tentativo di integrazione tra fascismo e società civile, e della funzione di cerniera esercitata da una certa letteratura di successo. Tutto qui. E d'altra parte, ogni ricerca che si rispetti ha ambiti precisi, ben delimitati, pena il confusionismo e il pressappochismo; rischi che abbiamo voluto evitare. Ma di ciò giudicherà meglio il lettore. Al momento, non me ne voglia Oreste del Buono che comunque ringrazio per l'attenzione che ci ha dedicato, dopo le sue osservazioni resto più convinta di prima, insieme con Vanna Gazzolla Stacchini e le altre coautrici, della esattezza delle nostre posizioni. Gigliola De Donato

Luoghi citati: Milano, Nesso