A questo punto, non ci resta che innamorarci

A questo punto, non ci resta che innamorarci LETTERE AL GIORNALE: IL LUNEDI' DI O.CB.B. A questo punto, non ci resta che innamorarci L'Italia di ieri Gentile dottor Del Buono, rispondo alla signora Margherita Picatti di Torino per il suo scritto del 16 dicembre. Ho 73 anni e vorrei dirle, signora, che come lei ho vissuto anch'io durante l'ultima guerra e non sotto una campana di vetro. Le darò un quadro della mia famiglia. La mia povera mamma è stata paralizzata, immobile, per I I anni in questo periodo. Il mio povero papà, generale di divisione dei carabinieri, ha passato mesi di prigione, sotto le bombe, nel carcere di Don Bosco di Pisa, piuttosto che aderire alla Repubblica di Salò. Il mio povero fratello, ufficiale di artiglieria, ha servito la patria sul fronte occidentale, lo, studentessa, viaggiavo in treno, sotto i bombardamenti, tra Pisa e Firenze per laurearmi in lingue straniere e contemporaneamente davo lezioni private per mantenermi, come faceva la mia povera sorella che insegnava alle medie di Pisa, ora sono rimasta sola, da tanti anni, e vivo di ricordi, ma non per questo maledico il passato. Come vede, signora Picatti, è possibile e non è un delitto essere, nonostante tutto, monarchica. Lei è libera di inveire, a torto o a ragione, contro i guai di una classe dirigente del passato e i capri espiatori, mentre io continuo a invocare almeno un poco d'indulgenza sul passato e tanto amore per il futuro. Maria Luisa Ferreri, Torino Gentile signora Ferreri, è chiaro che io, in questo caso, faccio solo da tramite. Intanto, come anticipando una risposta, è arrivata una seconda lettera della signora Picatti, che si è quasi incrociata con la sua. O si è addirittura incrociata. Una, la sua, è datata 18 dicembre, l'altra quella della signora Picatti, è datata «Triste Natale 1991». Ho aspettato un lunedì in cui avere a disposizione più spazio per le vostre due lettere non brevi. [o.d.b.] Egregio Del Buono, quando ieri, 23 dicembre, ho visto nella pagina «Società e cultura» quella grande foto con i po¬ veri soldati allo sbando in cerca di salvezza, il mio vecchio cuore non ha retto al dolore, e ho pianto lacrime cocenti. Forse tra quei poveri cristi ve ne erano anche di quelli della mia amata Cuneense: il desinare è saltato! Sapevo che in Ucraina non vi erano solo gli alpini, come sapevo che oltre ai nostri mansueti muli operava un contingente di cavalleria, di cui nessuno mai parla: dove sono finiti? La colpa del disastro non è solo del cugino Benito (Collare dell'Annunziata), ma pure del Re Imperatore Toiu III. Egli era reduce «vittorioso» della guerra 1915-'18, sapeva a cosa andavano incontro i suoi sudditi: nella disastrosa ritirata di Caporetto, se non fossero arrivati di volata i nostri alleati a portare cibo e armi alle nostre armate sfinite, gli austriaci sarebbero arrivati a Milano in un batter d'occhio: la storia non gli ha insegnato proprio nulla! Anche a Torino abbiamo sofferto la guerra, basta andare al cimitero per sapere quanti morti ci sono stati sotto i bombardamenti. Ogni notte giungevano gli uccellacci nemici, ora amici, miravano al gasometro di corso Regina ma sganciavano bombe e spezzoni al fosforo, il concerto era assordante. La mattina prendevo il mio bimbo per mano e andavo a vedere cosa avevano combinato: ho visto palazzi sventrati, gente ferita in mezzo alla strada, e altri gemevano intrappolati nelle cantine, sepolti da travi, senza vie d'uscita. Entravo in chiesa e come un'ebete chiedevo: «Dio, dove sei?» No, signori monarchici, non desidero vedere più i Savoia morti e vivi «sul Patrio suol». Lasciateli tranquilli e abbiate pietà di una povera vecchia che ha tanto sofferto. Ringrazio di cuore coloro che con scritti e testimonianze hanno informato chi di questa tragica vicenda era all'oscuro non avendo partecipato. Un 1992 di pace per tutto il mondo. Margherita Alessandria vedova Picatt'. Torino Gentile signora Picatti, constato che anche lei augura qualcosa di meglio per il futuro. Qualcosa che non sia simile in nulla al passato. Almeno, in questo, in fondo anche lei va d'accordo con la signora Ferreri con cui ha, co- munque, condiviso una prova atroce come la guerra. Ma il futuro come sarà veramente? [o.d.b.] L'Italia di domani Gentile signor Del Buono, sono un ragazzo di 26 anni, che si chiede costantemente come mai la mia generazione è priva di stimoli e ideali. Riflettendoci, non posso fare a meno di pensare che noi siamo il «riflesso sbagliato» di molte lotte, giuste o sbagliate che fossero. Intanto non sono mai riuscito a quantificare in anni una generazione e, chiedendo a persone «mature», ho avuto riscontri incerti 30, 25, 20 anni e così via (addirittura un mio conoscente mi disse con estrema sicurezza 4 anni precisi... forse aveva fatto confusione con i Mondiali di calcio o le Olimpiadi, sic!). Ritornando al discorso di prima, penso che la mia generazione sia spettatrice assente. Per intenderci: i nostri nonni hanno combattuto per un ideale: la patria e quattro dementi che la gestivano. I nostri padri (molt; dei quali immigrati) hanno combattuto per un inserimento sociale non sempre facile, nel tessuto di una grande città, e, superando problemi di casa e lavoro, sono riusciti in qualche modo ad allevare i propri figli il meglio possibile. Questi ultimi, a loro volta, hanno cercato di cambiare il cosiddetto «sistema» creando un «sessantotto», un vero casino servito solo a pochi (e furbi) quarantenni per far carriera. E noi? Di tutto questo cosa abbiamo ereditato? I più dicono benessere (vedi denaro abbondante, auto potenti, droga, carte di credito, va¬ canze all'estero ecc.). Ma è forse benessere questo? C'è incomunicabilità, assenti i punti di incontro, indifferenza che uccide. I sentimenti? No, quelli ci imbarazzano. Vero è che non tutto è così catastrofico, ma la consapevolezza di vivere bene og gi dura solo un attimo. C'è da chie dersi cosa leggeranno i nostri (pochi) figli sui libri di storia. Forse troveranno pagine bianche. Non ci importa nulla di quello che succede nel mondo, ci alziamo presto per recarci al lavoro, parliamo so lo con i nostri stereo, siamo apatici che non riescono più a vivere perché non ne hanno mai avuto l'intenzione e la cosa non meraviglia più di tanto, L'unica cosa che possono imporci potrebbe essere una eventuale difesa della patria; sì, perché quei quattro dementi sono ancora là, immortali. A questo punto non resta che Innamorarsi come dei rincoglioniti! Cario Gagliardotto, Torino Gentile signor Gagliardotto, perché? Non l'ha ancora fatto? Le posso assicurare che vale la pena. (o.d.b.]