I poeti viaggiano in metrò

I poeti viaggiano in metrò a Londra, per vincere «la noia sotterranea» I poeti viaggiano in metrò Poster in rima sulle vetture «Underground» Eft LONDRA j uscito da poco più di un mese ed è già un bestseller, con tre ristampe, 25 J mila copie vendute e altre migliaia che tentano di appagare la vorace domanda del pubblico. Titolo del libro: 100 poems on the Underground, un titolo che può trarre in inganno, che può punzecchiare la memoria e destare il ricordo di quella Underground poetry che fiorì in Inghilterra e in America tra gli Anni Cinquanta e gli Anni Settanta. No, questa non è la «poesia sotterranea», sperimentale, di quella «società alternativa», idealista fino all'ingenuità: la poesia del nuovissimo libro ha un pubblico mille volte più vasto, milioni di persone, ogni giorno. Tutti coloro che viaggiano sulla sotterranea, sulla metropolitana di questa immensa capitale, Londra. L'idea nacque nell'86, quando brani di poesie antiche e nuove cominciavano ad apparire sulle vetture dell'Underground, quella rete che i londinesi, con il loro humour mordace, hanno sempre chiamato the Tube, il tubo. Il successo fu immediato. I viaggiatori, stanchi o annoiati, videro in quelle strofe, sulla parete, un'oasi di serenità, di letizia, di malinconia, di bizzarria e soprattutto di bellezza nell'arido deserto della consueta, tediosa, uggiosa pubblicità. Gli occhi potevano finalmente posarsi su prodotti dello spirito e non più soltanto su quelli delle fabbriche e delle banche. C'era chi ritrovava vecchi amici, versi famosi, imparati a scuola; e chi ne scopriva di nuovi, suoni e sogni dì artisti contemporanei, di nomi ignoti. Gli applausi non furono effimeri, tutt'altro. Da poche, qua e là, le poesie si sono moltiplicate, come fiori in un'aiuola amorevolmente coltivata. Ben quattromila sono le vetture che sfrecciano sulle nove linee dell'Underground e su quasi ogni carrozza un poster piccolo ma di elegante semplicità accoglie una breve composizione. Nei sei anni di vita dell'iniziativa, si sono scelte oltre cento poesie ed è questa l'antologia lirica che appare adesso nel volumetto 100 poems on the Underground. Lo stesso entusiasmo che salutò la comparsa delle prime rime sulla metropolitana ha salutato il libro. Uscito alla vigilia di Natale, già è difficile trovarlo, è al dodicesimo posto nella classifica dei bestsellers non-fiction, quasi un record e continua a salire. Questo florilegio di 140 pagine, stampato dall'editore Collins, è opera di due autori inglesi, Gerard Benson e Cicely Herbert, e di una scrittrice americana, di New York, Judith Chernaik che, innamoratasi di Londra, qui vive dal '72. Fu Judith Chernaik ad avere l'intuizione che, nell'86, diede vita al fantasioso esperi¬ mento nelle viscere della capitale: oggi racconta: «Erano gli anni del thatcherismo più incandescente, le responsabilità dello Stato scemavano di giorno in giorno, i servizi pubblici peggioravano. Ebbi l'impressione che anche la cultura ne patisse e, memore della passione inglese per la lirica, decisi di fare qualcosa». Tenacissima, battagliera, Judith Chernaik conquistò la collaborazione dell'Aris Council, un organo paragovernativo, e della direzione dell'Underground. All'inizio, la London Underground - che è parte della London Transport - non volle sborsare un penny. Tre anni fa, però, visto il successo dell'operazione e valutati i benefici pubblicitari, cambiò idea e accettò di accollarsi quasi tutte le spese, invero assai modeste, che s'aggirano sui 20-25 milioni di lire l'anno, principalmente per la progettazione grafica e la stampa dei piccoli poster. Devono essere piccoli, perché così esigono spazio e tempo. I rettangoli non devono superare i 60 centimetri per 28. E il tempo per la lettura non dev'essere lungo, in quanto la durata media di un viaggio in metrò - calcolano i computer - è di circa tredici minuti. Altissimo è il numero dei poster rubati, un'attività che innervosisce l'Underground, ma che delizia Judith Chernaik: «Non è facile staccare questi avvisi. Se c'è chi corre il rischio, vuol dire che ama quei versi». Judith Chernaik e i suoi due collaboratori inglesi hanno libertà assoluta nella scelta delle poesie. Unica limitazione, i versi sono letti da milioni di persone, bisogna evitare ciò che può offendere o indignare. La direzione dell'Underground non è però oscurantista, né troppo burocratica e, anche se con qualche esitazione, ha dato il suo benestare alla comparsa di due poesie di anonimi, la prima dolcemente maliziosa, la seconda assai pepata. La prima, dell'inizio del sedicesimo secolo, descrive una bufera e conclude con questo desiderio: «Cristo, come vorrei che il mio amore fosse tra le mie braccia ed io fossi ancora a letto». La seconda, scritta all'alba del quindicesimo secolo, è un boccaccesco bisticcio sulla parola cock, che in inglese è il gallo ma è pure il fallo. Comincia: «I have a gentil cock» e finisce «ogni sera, si posa nella camera della mia signora». Judith Chernaik dice: «Ho scoperto che l'Inghilterra è una nazione di poeti». Non esagera. La ricchezza di questa lingua è stupefacente (secondo le classifiche internazionali, l'inglese ha un vocabolario di almeno 500 mila parole, il tedesco di 185 mila, l'i¬ ntici eats as taliano di 130 mila, il francese di 100 mila) ed è una lingua che questi isolani amano con passione. La poesia è letta e recitata come ai tempi di Shakespeare, abbondano le «poetry societies», si può vivere facendo il poeta. Non vi sono aedi preferiti sul metrò. Ecco perché la gamma va dai classici come Shakespeare, Chaucer, Milton, Keats, Shelley a voci più moderne, Auden, Yeats, Eliot, Dylan Thomas, Siegfried Sassoon, Seamus Heaney, William Carlos Williams, fino a Maya Angelou, Philip Larkin, fino ai russi Osip Mandelstam e Marina Cvetaeva. Più il cantico di Salomone dalla Bibbia, più antiche ballate, più una celebre ghiottoneria inglese, i nonsense di Edward Lear. Per fortuna, l'idea non sembra destinata a restare una curiosità, un'eccentricità londinese, altri metrò hanno cominciato ad imitarla, a Dublino, a Melbourne e a Stoccarda, in Germania, e altri ancora annunciano eguali progetti. Perché non estendere la «rivoluzione» e offrire poesie sugli aerei, sui treni, sui tassì, ovunque il cittadino sia costretto ad attendere, in una sala, in una stazione, all'aperto o al chiuso? Le possibilità sono infinite. Un signore ha detto alla radio: «Perché, appena mi siedo, devo essere tormentato dalla musica e dalla pubblicità e non mi si lascia in pace, con dei versi dinanzi agli occhi?». Mario Cirieìlo Ora ne hanno fatto un'antologia già nella classifica dei bestseller Dal Cantico dei cantici ai nonseme di Lear, da Shakespeare e Keats fino a Dylan Thomas Sopra, Dylan Thomas e Shakespeare A lato, uno scorcio dell'undergound In alto, Milton e Keats, due poeti della metropolitana londinese